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La Bandiera di Palermo nel rap italiano – Intervista a Johnny Marsiglia

By settembre 25, 2018 No Comments

Alla pubblicazione della grafica della data di Palermo del Memory Tour ero appena tornato dalle vacanze, seduto nella mia scrivania tra i libri universitari. Mi girai, staccai una fotografia dal muro e pensai “questa la devo assolutamente portare con me”. Contatto Giovanni che mi dà l’okay per le foto, prendo contatti con i locali del Cre.Zi. Plus ai Cantieri Culturali della Zisa e mando un WhatsApp a Johnny: “Zisa 3 in punto”. In realtà l’appuntamento era fissato per il mattino, ma non potevo esordire in altra maniera.

Ci accomodiamo e dopo le presentazioni, che frase dopo frase si rivelarono non essere le prime, gli mostrai la foto in questione: l’evento era l’instore di Fantastica Illusione presso Yankee Shop, 2014, ben quattro anni fa : un me quindicenne di fianco ad un Johnny freschissimo pronto per suonare la sera all’ormai scomparso ZsaZsa Monamour. La nostra chiacchierata parte proprio da quel momento, da quel nostro ultimo incontro. 

– Sono cambiate tantissime cose in questi anni… Quanto sei stato lontano da Palermo?

Sono stato a Varese dalla fine del 2009 al 2015, sono rimasto lì per lavoro e per seguire la musica ma ad un certo punto ho sentito l’esigenza di tornare a casa: questo disco è la prova che era il momento di farlo. Una volta a Palermo ci siamo messi a lavorare al disco ed è uscito il nostro miglior lavoro, sia secondo me che secondo Joe. Ne siamo pienamente soddisfatti.

– Che mi dici dell’Unlimited Struggle? Qualche mese fa intervistai Ghemon e mi confermò che, dalla sua parte, la Blue Nox non era altro che un vecchio gruppo di amici. Nella tua memory elenchi molta gente… manca qualcuno? Sono loro i “compagni d’annata”?

Nella musica, quando condividi sia l’amicizia che il lavoro, è proprio difficile far durare entrambi i rapporti… soprattutto quando l’ego delle persone che fanno questa musica è evidente. Ciò che abbiamo condiviso con i ragazzi di Unlimited è stato fondamentale per la nostra crescita, siamo in buoni rapporti umanamente parlando ma sia io che Joe avevamo intenzione di fare collaborazioni nuove, siamo in continua ricerca di stimoli. Abbiamo lavorato per moltissimo tempo con loro, la separazione è stata più che pacifica.

– La scelta di Sto Records ha lasciato tutti a bocca aperta. Cosa ha convinto te e Joe a firmare?

I ragazzi di Sto Records ci hanno subito dimostrato di essere interessati a lavorare a una roba come la nostra nel loro ambiente. È stata una gran bella sfida da parte nostra e ne siamo più che entusiasti.

– Anche se “per quanto ci riguarda siamo l’avanguardia” la mentalità comune del sud ha sempre visto il nord Italia come il progresso… “Vado a Milano e sfondo” dice il rapper 14enne. Con il nuovo team hai notato queste differenze rispetto ai lavori precedenti?

Tutto il disco è stato lavorato a Palermo. Abbiamo fatto mix e master sù, a parte Retrogame che paradossalmente è un pezzo uscito in Lombardia mentre stavamo mixando il resto dei brani. Ho vissuto per tanto tempo a Varese, andavo spesso a Milano… ti dà tanti stimoli, sì, ma Palermo ne dà altrettanti e diversi. Ho avuto bisogno di tornare qui per fare questo disco, anche perché il concept gira tutto intorno alla città. D’altro canto questo album è stato molto facile da scrivere: non dovevo far altro che stare qua e girare per i posti dove sono cresciuto. L’ideale per il prossimo progetto sarebbe avere stimoli da un altro posto, da altre storie.

– Parliamo del disco: lo senti più vicino a JM o più vicino a Palermo? Molto spesso lasci il tuo ruolo da protagonista per descrivere tutto il background della città.

Non esisterebbe una cosa senza l’altra. In questo disco sono i miei occhi che descrivono la città… che è un posto assurdo. Ti sconvolge per una cosa fantastica ed il secondo dopo ti sconvolge per una cosa terribile, ed è proprio questa la forza di Palermo. È facile secondo me scrivere qui, ti ispira in moltissimi modi. Ci sono tantissimi musicisti a Palermo che magari non vengono valorizzati, ma sono molto bravi. Nascere in un posto come questo incide, a volte ti fa anche sentire staccato dall’Italia ma ci sta. È figa Palermo, penso che il mio rap non sarebbe stato lo stesso se non fossi nato qua.

– Anche in questo progetto Joe ti ha seguito. Ci sono stati dei momenti in cui, attraverso le sue basi, è riuscito ad influenzare così tanto il tuo stato d’animo tanto da farti cambiare un contenuto già ultimato?

Si, certamente. Joe è un produttore molto vario: in un momento ti fa un beat con un banger e il secondo dopo una roba molto struggle. Sono molto influenzato dalle sue produzioni, quando mi passa un beat già il mio cervello si imposta automaticamente. Sono un tipo che mette spesso in discussione i suoi testi, a volte è stato lo stesso Joe a riprendermi. Ho anche bisogno del suo parere: ormai lavorando insieme da anni riesce subito a capire se stiamo facendo le cose in modo corretto. Anche nelle produzioni dico la mia, come lui dice la sua sui testi e sulla struttura. I progetti, comunque, sono lavorati a quattro mani.

– Sei uno dei pochi che ancora parla di passione. In “tempi d’oro” racconti di come ti estraniavi per riuscire a fare ciò che volevi. La musica sta diventando solo uno strumento per i soldi, ma non è una frase fatta: chi è nelle vette alte della classifica non dice altro. Oggi ti senti ancora estraniato?

Questo è un argomento di cui parliamo spesso con gli amici. Alla fine è solo il corso delle cose: la musica è diventata un bene di consumo come il McDonald’s. È anche bello, però, che ci siano persone come noi. Mi rendo conto che la gente che ci segue lo fa per sentirsi dire determinate cose, perché magari si ci rispecchia o altro. È figo che ci sia un panorama vario e la musica deve essere contestualizzata: è chiaro che ci sono dei dischi che ti ascolti in macchina mentre ti stai divertendo e dei dischi che ti ascolti a casa che ti fanno ragionare. Preferisco non piangermi addosso sul fatto che le cose stiano cambiando, però mi piace essere un’alternativa. Anche se il mio disco non va in classifica, però la gente viene a dirci che si rivede in certe parole è una soddisfazione d’altro tipo che va oltre i soldi. Questi piacciono a tutti, se con il prossimo disco facciamo un singolo e andiamo in radio… perché no? Non ti nascondo, però, che il mio sogno è quello di portare questo genere di roba ad un pubblico molto più ampio. Probabilmente è l’obiettivo di tutti… senza snaturalizzarci però. Con Sto avremmo potuto provare a fare qualcosa di diverso, mettere dei featuring mirati, ma il mio sogno è quello di fare dei numeri importanti in questo modo. È un’utopia, ma ci arriviamo.

– Uno degli aggettivi che ti attribuiscono più spesso è “umile”. Ma, nel disco, riproponi una frase che concettualmente è molto forte: “Non sono figlio d’arte ma mio figlio sarà figlio d’arte”.

La frase è ripresa da “Sentire Non È Ascoltare”, il mio primo album. Sono comunque consapevole delle mie capacità: quando sono sul palco penso di essere sicuro di me.
Posso affermare di essere uno dei rapper più interessanti d’Italia. Abbiamo sempre avuto rispetto dalla critica, dagli addetti ai lavori, dai rapper grossi. Chi ci conosce apprezza quello che facciamo e ci rispetta, diciamo che la consapevolezza con gli anni l’ho acquisita. Il fatto di rimanere “umile” non è una scelta, ho sempre pensato che non c’è un motivo per non esserlo. Il fatto di essere una realtà figa della nostra città, essere conosciuto in tutta Italia è figo, ma non vedo come potrei tirarmela in qualche modo. Forse quando comprerò un attico, lì smetterò di essere umile. (ride; ndr)

– In O.L.G.A. dici “La mia gente vuole solo vivere meglio, che vuol dire meglio? Vuol dire avere il tempo e le chance per alzarsi in volo e colpire il segno”. A chi dai la colpa?

A tante dinamiche, anche alla mentalità media del palermitano

Il detto dice che il problema di Palermo non sono altro che i palermitani.

Allo stesso tempo, però, sono fiducioso: questa frase racchiude la speranza che le cose prima o poi si sistemino. Lo vedo nelle nuove generazioni, anche nella gente che ho conosciuto all’instare qui a Palermo che magari ci seguivano da poco… c’è una mentalità diversa, più progressista. Hanno molti più stimoli adesso, ma ovviamente c’è sempre la gente che non si interessa di niente. Sono molti i ragazzi, anche molto giovani, che mi fanno veramente ben sperare. Palermo, comunque, non è quella di dieci anni fa abbandonata a sé stessa. Adesso mi piacerebbe che la gente si staccasse da questa lamentela pre-impostata che è sempre colpa di qualcuno e cominciassero a pensare che la responsabilità sia la nostra. Abbiamo in mano una città pazzesca, dobbiamo solo trattarla al meglio.

– Tutto il mondo è paese: è proprio vero. Prendendo come esempio Palermo, hai raccontato i cambiamenti che stanno coinvolgendo un po’ tutti tra cui il grosso problema della comunicazione, in primis per i giovani. Lo scenario di Totò il Barbiere in Retrogame ne è un po’ il riassunto.

Si dai, forse sì. Adesso non so con esattezza la situazione nei quartieri, ma è cambiato un po’ tutto. Abbiamo entrambi avuto la fortuna di vivere a cavallo tra le due generazioni: vivere nella nuova era conoscendo tutti i dettagli del passato.

In Memory ci sono molti ringraziamenti a chi ti ha sostenuto. Hai dedicato un pezzo a tuo padre come fan, alla gente che ha sempre creduto in te, hai ringraziato anche te stesso. Quanto è importante per un artista come te avere il supporto delle persone che stimi?

Tantissimo. Il rapporto con mio padre, poi, è stato fondamentale. Quand’ero ragazzino e facevo questa cosa del rap lui, inizialmente, non capiva. Non vedevo tanta partecipazione da parte sua, non riusciva ad afferrarla. Poi è cominciato a venire ai live, ha visto che la roba era seguita e i ragazzi della nostra stessa città venivano a vedermi. Lì rivalutò la situazione, ad interessarsi e a scoprire altri rapper italiani. Adesso è lui che mi cerca e mi chiede la mia opinione: “Oh ma l’hai sentito quello?!”. Ed è figo, perché sono riuscito a tirarlo dentro il mio mondo. Non è facile che un genitori ti appoggi quando decidi di fare certe cose come questo nella vita.

– Spesso lo stereotipo del rapper è il contrario: scappare di casa e avere dei genitori che non apprezzano ciò che fai.

Sai, sono cresciuto vedendo mio padre come un operaio che si è sempre sacrificato per cinque figli a casa; ho sempre avuto un buon esempio da lui. All’età di 22 anni mi sono trasferito da Palermo per lavorare fuori: ho fatto l’operaio in aeroporto e in alcune ditte quindi so benissimo cosa significhi fare ciò che non piace. Il fatto che mio padre capisca che negli ultimi anni stia cercando di dedicarmi a questa cosa è una doppia soddisfazione per niente scontata. È per questo che mi sono trovato a scrivere un pezzo su di lui, anche perché come lo descrivo nel pezzo è proprio la realtà: una persona che mi ha insegnato ad essere umile e a non giudicare mai le persone per quello che hanno o per quello che fanno ma soltanto per come sono. Lo ammiro e grazie a lui ho imparato come stare al mondo. Il pezzo è uscito proprio per ringraziarlo, infatti ci sarà alla serata del 29.

– Fallo salire sul palco!

Se se l’accolla con molto piacere! (il gergo palermitano è la migliore forma d’espressione; ndr)

– E quanto pesano, invece, le aspettative?

È chiaro che ci sono dei momenti in cui l’ansia da prestazione si fa sentire.

Però, capita. Penso che capiti a tutti, l’importante è riuscire a reagire… è una cosa normale per chiunque faccia arte, qualunque essa sia. Ti racconto una cosa: in questi giorni abbiamo un po’ provato il live e il primo giorno in sala prove eravamo un po’ freddi. Avevamo fatto solo due date del tour ma possiamo considerare Palermo come la data zero. Ci siamo chiusi da un paio di settimane in sala prove e abbiamo provato tantissimo. Ce lo siamo studiati bene. Adesso ho superato quest’ansia da prestazione, infatti non vedo l’ora di salire sul palco perché stiamo preparando un grande live.

– Soffermandoci ancora sulla figura di tuo padre, nello stesso brano ho notato come hai voluto iconizzare la sua persona come simbolo della generazione precedente, totalmente diversa da quella attuale. “Porta rispetto ai più grandi” dici nel pezzo. Questa è una considerazione di cui possiamo discutere sia tra i giovani per le strade che nel rap game o sbaglio?

Hai ragione, ormai valori come questi si sono persi. C’è anche questa esigenza delle nuove generazioni di affermarsi nel rap game. Questo atteggiamento dei giovani di dire “quello è vecchio, è superato” non è nient’altro che, secondo me, la loro strategia per affermarsi e per creare questo spaccamento tra le due. Comunque sì, hai afferrato benissimo il concetto, quella frase lì era proprio riferita a questo.

– Ti senti la bandiera di Palermo nel rap italiano? Senti questa responsabilità?

Sì, ma non la soffro. Non faccio questa roba per essere portavoce della mia città ma quando mi attribuiscono questa cosa mi viene da piangere. Anche se abbiamo avuto altre realtà a Palermo come Stokka & MadBuddy e altre invece più underground che non sono conosciute fuori, ma che mi hanno insegnato moltissimo. Quando ero ragazzino a Palermo c’era una bella scena: tanti breaker, tanti rapper che vedevo fare freestyle che mi hanno stregato.

– Cosa ci sarà nella tua Memory dopo questo disco? Cosa vorrai raccontare?

Mi piacciono molto i concept album, anche gli altri lo erano ma questo di più. C’è un filo conduttore che lega tutte le tracce. Adesso vorrei avere stimoli nuovi. Prima di scrivere ho bisogno di leggere, di vedere posti nuovi, di incontrare gente nuova. Purtroppo non si riesce a fare niente se non si hanno degli input dall’esterno. Prima di fare il prossimo album – sicuramente non passeranno altri quattro anni – faremo un bel percorso per raggruppare le idee. Non ti nascondo che da quando abbiamo finito il disco ad adesso abbiamo già fatto altri pezzi, tra cui alcuni che mi piacciono veramente molto e potrebbero essere l’inizio della nuova evoluzione.

– Qualche spoiler del live del 29 Settembre ai Candelai?

Abbiamo sentito Ensi, nostro amico di vecchia data, e sarà giù con noi. Ci sarà anche Shorty, ovviamente, per fare i pezzi insieme e Peter Bass, il ragazzo che ci ha aiutato nel disco che suonerà diverse parti live da solista. Con Louis Dee, inoltre, faremo anche pezzi vecchi per i veterani. Siamo stracarichi.

Ringraziamo Johnny Marsiglia per la disponibilità.

Ringraziamo Cre.Zi. Plus per la location (https://www.facebook.com/creziplus/)

Shooting a cura di Giovanni Di Marco ( @_giovanni_di_marco ; https://bit.ly/2OQ5600 )

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