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Il “viaggio” interstellare di Paolo Benvegnù. Andata e Ritorno alla ricerca dell’Io

By aprile 18, 2018 No Comments

Essere davanti ad un artista del genere fa sempre un certo effetto, lo ricordo ancora quando mi regalò “bombardano cortina”. Erano gli inizi c’era un piglio diverso,  l’approccio di una band giovane ed ambiziosa ma si sentiva già l’energia. Dal 1995 è passato tanto tempo e Paolo artisticamente è cresciuto, trasformandosi ed evolvendosi,  sfidandosi,  cercando sempre di più il suo essere , scendendo in profondità, spesso troppo,  per perdersi ritrovarsi riscoprirsi crollare rialzarsi. Regalandoci momenti importanti di musica siamo arrivati al quinto album in studio, dopo Hermann e Earth Hotel a chiudere una ipotetica trilogia ecco H3+. “Uno ione triatomico di idrogeno, o H3+, potrebbe nascondere i segreti della formazione delle primissime stelle dopo il Big Bang. Lo ione H3+ è il più comune ione molecolare nello spazio interstellare”, inizia un nuovo viaggio.

La trilogia è stata pensata prima o è arrivata così naturalmente

PB: La trilogia è arrivata nel tempo ma era stata pensata già nel 2011 proprio come ambizione, l’idea del  primo capitolo come vita ipotetica, assurda e fallimentare  storia dell’uomo,  poi nel tempo ovviamente le cose si evolvono per fortuna e sono riuscito ad andare in fondo senza troppa fatica, senza troppa fatica dal punto di vista concettuale, ovviamente è più faticoso scrivere le canzoni che pensarne il loro contesto

“Un viaggio musicale nello spazio interstellare, per parlare dell’uomo, indagare i sentimenti e cercare risposte ad alcune domande. Un viaggio dentro la materia di cui siamo fatti (per dirla alla Shakespeare) che abbraccia passato, presente e futuro.”

Cosa hai immaginato prima di intraprendere questo viaggio, quali risposte cercavi

PB: Mi sono lanciato in un abisso di materia oscura, un uomo lanciato nello spazio ma con un’altra considerazione, cioè ipotizzando, come se l’involucro che ci contiene, il corpo,  fosse una ipotetica macchina del sentimento, una piccola astronave che si muove nel conosciuto. Io invece mi sono mosso verso lo sconosciuto partendo da quelli abissi o il vuoto che si respira nella società di oggi, quello che noi stessi prova. Alla fine però questo  tipo di esplorazione mi ha portato a delle risposte che sono servite a  me personalmente e non necessariamente agli altri.

La sensazione che ho, a livello figurativo ma anche concettuale, che questo viaggio,  il partire il perdersi per poi ritrovarsi sia come quasi parlare della propria vita,  lo hai fatto per una forma catartica ?

Non posso negare dire di essermi disperso, ed un ricercatore si deve disperdere per trovare poi delle riposte, giuste o sbagliate che siano credo sia relativo, sicuramente ho cercato di chiudere questa trilogia per poter rinascere in maniera diversa, mi è servito,  fare canzoni e portarle in giro ha una funzione curativa, terapeutica,  credo sia  un privilegio per me, mi curo e nello stesso tempo viaggio e vedo posti bellissimi, sono molto felice di questo. E’ vero è stato come “un ritorno a casa” , ora mi sento un settenne con il fisico di un ottantenne

“Tramandare un messaggio, l’arte la scoperta le intuizioni o le emozioni devono essere tramandate lasciare traccia di se”

Partendo dal presupposto che per fare un’intervista con te bisogna studiare e prepararsi, (ride) spiegami “Il concetto della dualità dell’essere ed il rapporto con i terzi” e “ognuno di lascia una traccia”

Tutto molto semplice: mi faccio solo domande sul miei meccanismi  inconsci perché in situazioni dove non mi sento in sicurezza mi chiudo,  invece poi, a pelle con altre  persone riesco ad aprirmi in maniera spontanea. Per quale motivo amando qualcosa non  riesco a  capirla fino in  fondo quando ce l’ho e ne ho nostalgia quando me ne allontano? Sono tutte domande che mi pongo, me le faccio in maniera più acuta forse più ossessiva compulsiva direbbe un buon analista!  Il lasciare una traccia, essere circondati dalle tracce degli altri, non è un meccanismo di conforto riguardo  a cioè che scompare nelle nostre vite,  io sono convinto che noi siamo dei piccoli trasmettitori, trasmettiamo dei messaggi. E’ un meccanismo che è legato alle nostre cellule, le nostre cellule si moltiplicano e trasmettono alle cellule che arrivano dopo e poi c’è una trasformazione nella loro scomparsa e questo mi sembra una metafora perfetta e molto confortante per ciò che sono gli uomini,  io mi sento di passaggio per fortuna e sento alle volte che mi basterebbe pensare che ad una persona abbia  fatto cambiare solo di un grado la prospettiva di uno sguardo e questo è di grande utilità mi piace molto

A cena,  abbiamo scherzato,  insieme con Cristiano Godano , sul fatto che in qualche maniera sei un portatore sano di un certo tipo di cultura in Italia,  di un certo tipo di scrittura. La continua ricerca e lo studio che ci metti nel tuo lavoro e nei testi,  lo fai soprattutto per sorprendere te stesso o cosa? 

PB: Io devo assolutamente sorprendere me stesso perché credo di essere uno dei rari casi di “uomo bovino”,  è il talento dell’impegno, se mi danno un aratro riesco a  fare qualcosa! Sono una bestia da soma, fondamentalmente non ho quasi mai l’intuizione fiammeggiante  ma devo lavorare tanto per fare in modo che questi campi siano arati e che possano essere seminati, devo sorprendere me stesso ma devo sentirmi portatore sano di narrazione e per fare questo ho bisogno di essere portatore sano di ascolto delle narrazioni altrui, E’un circolo che per me è diventato virtuoso, sono più bravo ad ascoltare che a parlare anche se sono logorroico come puoi notare

“Non sono interessato al “successo” ma al “far succedere” (Bergonzoni)”

Rispetto all’ultima intervista ti trovo più rilassato, concentrato, sarà anche la paternità!?

Tutto quello che ci succede fa parte di un miracolo soggettivo ma anche universale nello stesso tempo che non riusciamo a comprendere,  mi arrendo a questa cosa ed è una resa pacificata e bellissima e questo mi permette di vedere l’altro,  il diverso da me non come una minaccia ma come una opportunità di esperienza.  sono molto contento di questa cosa. Ci sono arrivato prima della paternità ma questo mi ha fatto capire che l’essere umano di sesso maschile conta veramente molto poco dal punto di vista pragmatico del termine ma effettivamente la paternità significa prendersi cura in maniera particolare  di, ed io forse nella mia vita non mi sono neppure preso cura di me stesso e sono stato un grande fautore di dispersione della mia energia e della energia degli altri e quindi sto imparando a vivere,  ho dei passi ben lunghi e distesi da fare

Si è parlato ultimamente tanto degli “Anni 90” in Italia, il primo pensiero che ti viene in mente

Il primo pensiero è legato alla vostra terra, la prima volta che gli Scisma sono venuti a suonare in Puglia era la metà degli anni 90 ed è stato il primo viaggio significativo della nostra carriera,  abbiamo suonato all’ Hype Pub di Trani. Era la prima volta che scendevo al sud,  non avevo mai visto certi posti, non potevo permettermi quei viaggi è stata una rivelazione per me questa terra con un taglio di luce che non avevo mai visto dal vivo se non magari in qualche film, magari non ne capivo neppure la differenza. Io penso di suonare, anzi  incontrare musicisti più giovani a cui trasmettere e vergare loro questo tipo di esperienza questo stupore  che in me è rimasto intatto,  io sono ancora quel ragazzotto che ha visto quella volta il mare a Trani rimanendone estasiato.

Tra poco sarai sul palco della Cittadella degli Artisti di Molfetta, uno spettacolo a metà strada tra musica e teatro

Lo spettacolo è un incrocio particolare,  io credo molto poetico,  a mio modesto parere tra il teatro popolare, il teatro dei burattini e la canzone. Uno spettacolo dove la prosa è fatta dai testi delle canzoni e tutti i movimenti sono all’interno, fatti dentro e fuori, sopra e sotto un teatro per le marionette,  ci sono le marionette e degli uomini che diventano marionette, c’è il rapporto tra l’uomo ed il divino, il divino che diventa marionetta, la marionetta che diventa divina. E’ tutto un gioco di specchi per certi versi un pò retorico ma a mio parare molto  semplice ma non banale, ecco semplice e poetico. Per quanto riguarda me ed i miei compagni, o Luca Ronga che ne cura la regia è proprio un auspicio di vita: diventare semplici, felici e poetici.

Inizia il concerto.

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