Dopo tanta incertezza e varie ipotesi più o meno fantasiose (dal drive in agli streaming), siamo giunti finalmente al punto cruciale: dal 15 giugno i concerti potranno svolgersi ma secondo regole molto restrittive. Tenuto conto della situazione sanitaria contingente legata al Covid-19 le autorità italiane hanno optato per un ritorno graduale alla normalità, e a questa filosofia non fa eccezione il mondo degli spettacoli.
Si potranno quindi svolgere concerti e spettacoli teatrali a patto che non siano presenti più di 1000 persone all’aperto (200 in caso di evento al chiuso) con posti assegnati, il rispetto della distanza interpersonale di un metro, prevendita dei biglietti e il divieto di somministrazione di cibo e bevande.
Non sfuggirà agli abituali frequentatori di concerti e festival che ciò che è stato autorizzato non ha molto a che vedere con le esperienze che avevano avuto modo di vivere fino a qualche mese fa.
La domanda è quindi, al netto della valutazioni individuali legate alla pandemia e al rischio sempre vivo di contagi: vale la pena di organizzare/frequentare concerti questa estate? La risposta ondeggia tra un timido sì, che in fondo meglio così che niente, e un deciso no quando si va ad analizzare la questione più in profondità.
Con le condizioni imposte dal decreto soltanto in presenza di solide sponsorizzazioni private o contributi e supporto logistico da parte delle autorità pubbliche un evento musicale può ambire alla tanto agognata sostenibilità economica. Bene quindi che si possano svolgere alcuni eventi (più possibili e più vari possibili magari) che possano registrare tali fortunate circostanze.
Male invece che in questo modo lo Stato si lavi le mani della condizione di difficoltà ed impraticabilità di un rischio imprenditoriale già arduo e spesso dettato più dalla passione che non dal tornaconto economico: in teoria i concerti si possono fare (seguendo i dettami del decreto governativo), che poi in pratica li possano fare pochi e per pochi rimane un tema non eludibile.
Altri paesi europei come la Germania hanno vietato le manifestazioni concertistiche fino al 31 agosto prossimo (con alcune differenziazioni tra le varie regioni), rimandandone a tempi migliori lo svolgimento e facendosi carico del momento di difficoltà di un intero comparto.
Ben vengano quindi i concerti a condizioni sanitarie sostenibili hic et nunc, ma questo non deve portare ad un abbassamento della guardia e delle tutele (per quanto poche ed inefficaci ne siano state approntate fin qui) su tutta quella parte del settore che non sarà in grado di portare avanti le proprie attività secondo queste rigide e giuste regole poste a tutela della salute pubblica.
Tanti festival hanno già annunciato l’annullamento, tanti altri nei prossimi giorni andranno a completare l’elenco dei “ci vediamo nel 2021”. Andrebbe quindi ribaltata la lettura della realtà: i concerti nella estate 2020 non si possono fare, se non in alcuni singoli eccezionali casi (e non ci interessa entrare in valutazioni relative alla meritevolezza degli stessi). Il settore va tutelato a tutti gli effetti come un settore a cui è inibito il regolare svolgimento della propria attività, perché la stragrande maggioranza degli eventi non avrà luogo, e nello specifico la totalità degli eventi indipendenti non potrà esistere.
I momenti di crisi profonda esasperano le differenze ed accentuano le disparità: questo è il momento di tutelare un intero settore ed accompagnarlo verso la stagione di ritorno alla unica condizione in cui può esistere, non la nuova normalità fatta di regole non sostenibili ma la normalità “normale”.
Ci vorrà ancora del tempo per poter ripartire da lì e non dovranno sopravvivere a questa fase soltanto alcuni, ma tutti.
Foto Blondinrikard Fröberg – Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)