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Down and Well: Intervista a Dark Mark (Mark Lanegan) e Not Waving

By febbraio 3, 2020 No Comments
Photo credits: Lenny Photography

Dark Mark e Not Waving – al secolo Mark LaneganAlessio Natalizia – siedono rispettivamente alla mia destra e alla mia sinistra. Fuori dalla finestra c’è un atipico pomeriggio di gennaio, il giorno perfetto per parlare di musica, della vita e di “Downwelling”, l’album nato dalla loro collaborazione.

Bastano poche battute per farmi capire che si farà ricordare, questo atipico venerdì 31 gennaio.

Seduti intorno allo stesso tavolo, Alessio e Mark ironizzano, si capiscono al volo, si prendono reciprocamente in giro. Hanno un affascinante modo di comunicare tra di loro – e anche con gli altri. Quello stesso modo di comunicare, sul palco dei Candelai, avrebbe dato vita, poco dopo, a un intenso live fatto di suono, di voce e di pensieri profondi.

E pensare che tutto è cominciato con un’email inviata da Mr Lanegan ad Alessio, rimasta per un bel po’ senza risposta…

Come vi siete conosciuti?

Mark: «Sono diventato amico di Martin Jenkins, che è grande fan della musica di Alessio, soprattutto di “Animals”, che è davvero un gran disco. Ho chiesto a Martin di darmi il contatto di Alessio perché stavo lavorando ad alcuni remix per un disco che ho fatto nel 2017. Gli ho inviato un’email molto gentile e non ho avuto risposta per un mese e mezzo. Mi ha totalmente ignorato per un mese e mezzo, poi mi ha scritto una sola frase: “Che tipo di remix vuoi?”, senza nemmeno dire “Ciao”. Praticamente era come se mi stesse mandando a quel paese!».

Alessio: «Sta un po’ drammatizzando… (ride). Ho fatto il remix ed era pessimo, secondo me. Voglio dire… era ok, ma è stata dura. Non avevo mai remixato qualcosa come le canzoni di Mark, quindi mi sentivo un po’ in soggezione: la sua è una gran voce e io ho pensato “Cosa faccio?”. Non volevo fare il classico remix».

Mark: «Io ti avevo anche detto: “Sarei anche più felice se non ci fosse voce”».

Alessio: «Ho cercato di avere un approccio un po’ estremo. I fan hanno odiato il remix, ho letto commenti – che comunque ho amato – che suonavano come: “Cosa diamine é?”.  Ho pensato: “Mark non si farà mai più sentire”. Di fatto è stato così, fino a quando non l’ho ricontattato io. Stavo lavorando sul mio nuovo disco – che non è ancora pronto – e ho pensato di chiedergli se volesse cantare in una delle mie canzoni. Lui mi ha risposto subito, nonostante io l’avessi fatto aspettare un mese e mezzo per una risposta!».

Quindi, Mark, eri molto interessato ai suoi lavori.

Mark: «Assolutamente sì! Mi ha inviato sei canzoni tra le quali scegliere e io ho cantato per tutte, inviandogliele un’ora dopo. Volevo essere sicuro che gliene piacesse almeno una! Così è nato “Downwelling”. Alessio, a quel punto, mi ha scritto: “Suppongo che questo non sia più il ‘mio’ disco, ma il ‘nostro’ disco”. E allora ho pensato: “Missione compiuta!”».

Perché “Downwelling”?

Alessio: «Dato che Mark aveva scritto i testi, ho pensato fosse una buona idea dirgli di scegliere un titolo. Lui ha chiesto a un amico, che gli ha suggerito “Downwelling” ed è piaciuto a tutti e due, pur non conoscendone esattamente il significato. “Downwelling”, al di là di quello che vuol dire da un punto di vista tecnico (lo trovate qui, ndr), suona anche come un modo in cui ti puoi sentire: “down” and “well”, due cose diverse».

Parliamo un po’ dei testi e dei loro titoli.

Mark: «Ho lavorato a tutti i testi sul mio telefono, in pochissimo tempo. Il giorno dopo era il mio compleanno e invece di essere a cena, ero in studio a registrare. Ho cambiato un po’ alcuni testi, ma ho fatto tutto in una registrazione, in modo che tutto mantenesse la sua forza iniziale: volevo mettermi alla prova, perché la musica di Alessio rappresentava una sfida».

Cosa avete in comune?

Mark: «Un sacco di cose di cui non possiamo parlare! Ci siamo incontrati per la prima volta in occasione del nostro primo live insieme, all’Atonal Festival di Berlino del 2019. Prima di allora, avevamo parlato soltanto via email. Ci siamo visti al mattino, abbiamo passato la giornata insieme e ci siamo trovati bene».

Vi piacerebbe lavorare di nuovo insieme?

Alessio: «Certo! Abbiamo già fatto altre cose insieme. Il punto è che io originariamente avevo chiesto a Mark di cantare nel “mio” disco, che poi è diventato il “nostro” disco. Ma io voglio ancora che lui canti in un “mio” disco!».

Mark: «Così lui ha rubato una canzone che avevo fatto per il nostro 12 pollici, per metterla nel suo disco…».

Alessio: «È venuta troppo bene! Avrebbe dovuto essere soltanto un interludio ma, quando l’abbiamo suonata dal vivo, Mark ha iniziato a cantare sulla base, con un risultato bellissimo. Abbiamo pensato “Facciamone una versione più lunga per il 12 pollici”, ma è una canzone troppo bella per essere solo nel 12 pollici del tour. Penso proprio sarà “The Last Time Leaving Home Part II”».

Mark (ride): «Part II?».

Alessio: «Sì, come nei dischi prog rock! Il testo è davvero bellissimo, è come se ci si trovasse di fronte alla morte: lo trovo incredibilmente sincero, anche per il modo in cui Mark canta. In quella canzone in particolare, secondo me, Mark si mette a nudo».

Mark, nei tuoi testi fai spesso riferimento agli aspetti più oscuri dell’esistenza, ma questo non sembra affatto condurre a una visione d’insieme negativa. Cosa puoi dirmi in merito?

Mark: «Quando, da ragazzino, ho ascoltato per la prima volta “Closer” dei Joy Division, quel disco mi ha salvato la vita. In quel periodo ero molto depresso. Ho comprato la cassetta durante un inverno davvero pesante: dovevo lavorare in un frutteto, con le mani e le ginocchia nella neve per tutto il giorno, poi guidavo per 35 miglia per tornare a casa e in auto ascoltavo solo quella. Per la prima volta, qualcuno stava descrivendo quello che provavo e, all’improvviso, non mi sono sentito più solo. Non sapevo ancora che Ian Curtis si fosse suicidato poco prima dell’uscita del disco, ma quell’album mi ha salvato la vita. Mi ha fatto risalire. Ho capito che molta della musica che qualcuno trova oscura e deprimente, per me invece è l’opposto: riesce ad elevarmi. È un riflesso del modo in cui mi sento, le canzoni alle quali sono legato sono quelle che mi raccontano la mia storia, sia nel modo in cui immagino sia, sia nel modo in cui vorrei andasse, sia nel modo in cui è davvero. Molta gente pensa che quel disco sia uno dei più deprimenti di sempre, ma per me è totalmente altro».

Alessio: «Credo che definire un certo tipo di musica semplicemente “deprimente”, sia un modo molto superficiale di interpretarla. Prendiamo ad esempio “Closer”, quel tipo di suono quasi “annacquato”, il lavoro di produzione, la batteria…».

Come è cambiato il modo di fare musica dagli anni Ottanta a oggi?

Mark: «È tutto più accessibile. Chiunque adesso può fare musica. Quando ho iniziato, si utilizzava lo Stereo-8 e, se facevi un errore, dovevi tagliare il nastro con una lametta, era un processo lungo e terribilmente noioso. Adesso penso sia grandioso che ognuno possa fare musica, ma il rovescio della medaglia è che ora tutto è incentrato sullo streaming, non sulla musica “fisica”. Questo rende più difficile guadagnarsi da vivere con la musica e, inoltre, non offre alcun margine di errore. Prima potevi anche fare sei dischi pessimi di fila, adesso c’è chi non presta più attenzione dopo la prima canzone».

Alessio: «Probabilmente era meglio prima. Ora c’è davvero un sacco di musica, ma non tutta è valida. È grandioso che ce ne sia così tanta è grandioso, ma adesso la musica non ha più la stessa rilevanza che aveva una volta. È tutto incentrato sul modo in cui la vendi. Io ho una piccola etichetta e so che alcuni artisti andranno meglio di altri non tanto per la musica in sé, quanto per la loro storia. Alla fine dei conti, quello che conta è la storia. Non è una cosa del tutto negativa, ma bisogna tenerla in conto. Chi inizia adesso, come ha detto Mark, ha una sola occasione. A questo, bisogna aggiungere il fatto che è cambiato il modo in cui si ascolta la musica, si passa da una canzone all’altra dopo pochi secondi. Prima, per avere un disco, dovevi andarlo a prendere, anche lontano da casa. Adesso ci vuole pochissimo per scaricare intere discografie».

Dove trovate l’ispirazione?

Alessio (ride): «Sono molto non ispirato, al contrario di Mark…».

Mark: «Scrivo intere canzoni da solo ma, quando ho per le mani la musica di qualcun altro, mi sento subito ispirato. È così che è nato “Downwelling”, all’inizio ho pensato alle parti vocali e alle parole. Sono ossessionato dal fare musica, dallo scrivere musica, dai dischi… Lo faccio da 45 anni e ancora, quando mi sveglio al mattino, la prima cosa che faccio è andare dritto in studio e rimanere lì per 14 ore al giorno. Odio chiamarlo un lavoro, perché è qualcosa che amo, qualcosa da cui sono ossessionato. Una volta mi hanno detto che l’ossessione non è una cosa positiva, che sarebbe meglio avere e io ho risposto che la passione non basta: devo essere ossessionato per fare qualcosa che mi soddisfi».

Photo credit: Lenny Photography.

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