HOMEThrowbacktime

David Bowie: The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars

By giugno 18, 2020 No Comments

Ogni discorso su David Bowie è un discorso in divenire. Sempre è stato e sempre sarà, alimentato da tutto ciò che questo incredibile uomo che cadde sulla terra ci ha lasciato. Per questo motivo, parlare di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars tutto può essere fuorché raccontare un disco.

Ziggy Stardust è vinile ed elemento del cosmo. È alter ego e creazione originale. È profezia che sia autoavvera. È un corpus di brani dalle sonorità complementari, che cullano, divertono e sanno anche strappare il cuore. Quinto album in studio di David Bowie, vide la luce nel 1972, per mettere in musica la storia di Ziggy.

Sulla natura di questo personaggio esistono varie teorie. Secondo alcuni, sarebbe un extraterrestre, mentre secondo altri sarebbe decisamente più umano, messaggero di qualcuno che fluttua tra le galassie (anche lo stesso Bowie ne ha precisato la natura terrena). Una cosa che mette tutti d’accordo è la sua missione: salvare il genere umano dalla banalità e dai suoi comportamenti distruttivi. Quei comportamenti, però, corrompono perfino lui, che finisce per avere gli stessi vizi di chiunque viva sulla Terra.

Da un punto di vista metaforico, è anche una perfetta rappresentazione della rockstar che diventa idolo delle masse, venerata come una divinità a tutti gli effetti.

Il percorso di Ziggy segue una narrazione che potrebbe definirsi lineare: si apre con Five Years e si conclude con Rock ‘n’ Roll Suicide, aprendo e chiudendo una serie di capitoli. Traccia dopo traccia, le sonorità spaziano dal glam rock al proto-punk, fermandosi ad attingere da generi differenti. L’influenza esercitata sulle generazioni successive è innegabile e non solo da un punto di vista strettamente musicale.

Bowie amava giocare con le sue personalità e rivestire infiniti ruoli. Sperimentava con l’estetica e la creatività, sconfinava da un campo all’altro, per dare vita a forme espressive sempre nuove. Si modificava, diventava uno e mille. Si lasciava totalmente conquistare dai suoi personaggi, al punto da dover poi escogitare un piano per mandarli via.

Ziggy è un alter ego rivestito di polvere di stelle, ennesima conferma della grande passione del cantate per i paesaggi spaziali – già emersa da brani come Space Oddity e Life on Mars?. Quando si parla delle fonti di ispirazione, si chiamano in causa diversi personaggi, come il rocker inglese Vince Taylor, il cantante psychobilly Legendary Stardust Cowboy, Marc Bolan dei T.Rex e il designer giapponese Kansai Yamamoto. Il contributo maggiore, però, David se lo diede da solo: Ziggy Stardust è lui in modo viscerale, così come lo sono state tutte le sue personalità.

«Ziggy ha davvero gettato le basi per i miei lavori futuri. Era il mio messia marziano che suonava la chitarra. L’ho immaginato in modo semplice… qualcuno che è stato lasciato qui e portato verso il nostro modo di pensare, finendo per distruggere se stesso», ha detto.

La prima apparizione ufficiale avvenne durante un concerto al Toby Jug pub di Londra, il 10 febbraio del 1972. David decise, a un certo punto, di iniziare a presentarsi ai concerti come Ziggy Stardust accompagnato dagli Spiders from Mars. Non è difficile intuire che quella sovrapposizione di personalità finì per annullare ogni confine tra David e Ziggy: «Mi sono innamorato di Ziggy. È stato abbastanza facile essere ossessionato dal personaggio giorno e notte. Sono diventato Ziggy Stardust. David Bowie uscì completamente di scena. Tutti mi avevano convinto del fatto che fossi un messia, soprattutto durante quel primo tour americano (fine del 1972). Mi sono irrimediabilmente perso nella fantasia», disse Bowie nel 1976.

Five years, what a surprise

Ziggy Stardust and the Spiders from Mars inizia con Five Years, una dolce introduzione che non ha fretta di correre: “I think I saw you in an ice-cream parlor, drinking milk shakes cold and long/ Smiling and waving and looking so fine, don’t think you knew you were in this song”. Quel suono accompagna alla seconda traccia, Soul Love, un brano melodico che parla dell’amore in tutte le sue forme, anche se da un punto di vista parecchio cinico: “All I have is my love for love/ and love is not loving”. Mentre Soul Love si dissolve, una prepotente chitarra elettrica introduce l’autentica presentazione di Ziggy Stardust, Moonage Daydream: “I’m an alligator/ I’m a mama-papa comin’ for you/ I’m the space invader/ I’ll be a rock ‘n’ rollin’ bitch for you”. Sassofono e flauto richiamano ricordi lontani.

È a questo punto che arriva Starman, una melodia sostenuta dalla chitarra acustica e dall’arrangiamento per i violini. Un uomo delle stelle, attraverso la radio, entra in contatto con la Terra, promettendo la salvezza: “There’s a starman waiting in the sky, he’d like to come and meet us but he thinks he’d blow our minds/ There’s a starman waiting in the sky, he’s told us not to blow it, cause he knows it’s all worthwhile”. Bowie in un’intervista del 1974, disse che in realtà Ziggy Stardust non era l’uomo delle stelle, ma il suo messaggero terreno.

It Ain’t Easy fa un po’ da intermezzo: “It ain’t easy, it ain’t easy/ It ain’t easy to get to heaven when you’re going down”.

…and he was alright

Il racconto di Ziggy non sarebbe completo se non si parlasse di Lady Stardust, un omaggio a Marc Bolan dei T.Rex. L’introduzione al pianoforte dona un’anima malinconica al ritratto della rockstar androgina: “People stared at the makeup on his face/ Laughed at his long black hair, his animal grace/ The boy in the bright blue jeans/ Jumped up on the stage/ And lady stardust sang his songs/ Of darkness and disgrace”.

C’è il pianoforte anche in Star, ma il mood è completamente diverso. La canzone parla del fare qualsiasi cosa pur di diventare una rockstar e il calcare le scene viene visto una forma di salvezza (in questo, il messaggio è in perfetta sintonia con quello di Lady Stardust). Star trova un legame perfetto con il riff sfrenato di Hang On To Yourself. Un botta e risposta tra la chitarra acustica di Bowie e quella elettrica di Mick Ronson: “So come on/ Come on/ We really got a good thing going”.

Dal punto di vista della narrazione, è Ziggy Stardust a rappresentare il fulcro: racconta l’ascesa e il declino di una superstar. Non mancano, nel testo, i riferimenti a un qualche ruolo messianico di Ziggy (“leper messiah” e “he was the nazz”, quest’ultimo da intendere come abbreviazione di Nazareno).

Con Suffraggette City si richiama il rock’n’roll degli anni Cinquanta, con un pianoforte sincopato e una chitarra martellante. Tutto molto eccitante, come quel “Wham bam, thank you ma’am”, che allude a una sveltina occasionale. La frenesia di Suffraggette City è il preludio alla fine della storia. Con Rock ‘n’ Roll Suicide, infatti, si compie il destino di qualcuno che non è mai davvero appartenuto a questo mondo. Il messia è ormai ridotto a una sagoma barcollante: “Time takes a cigarette, puts it in your mouth/ You pull on your finger, then another finger, then cigarette/ The wall-to-wall is calling, it lingers, then you forget/ Oh, you’re a rock ‘n’ roll suicide”.

A questo punto, lo splendido personaggio smette di brillare. Non è più un profeta. L’entusiasmo iniziale è diventato polvere e riflessione su una condizione.

Il gran finale di Ziggy Stardust and the Spiders from Mars è esattamente quello che deve essere. Teatrale, malinconico e pervaso di realismo, abbraccia la condizione umana nella sua semplicità. Sono state raggiunte le vette più alte, è tempo di cadere nell’abisso più profondo.

A rendere così speciale Ziggy è il fatto che sappia essere tutti e nessuno. Con lui, David Bowie unì le sue passioni: la musica e la recitazione. Che si tratti di un uomo o di una donna, non fa differenza: non ha mai fatto differenza per un artista che ha saputo cantare di dolore e cambiamento, di carisma, di sesso, di possibilità, di vita e di morte.

Ziggy, nel racconto di questo disco, non riesce a portare a compimento la sua missione, perché viene travolto dalle sue stesse aspirazioni. Volendo capovolgere il punto di vista, però, la missione è compiuta. Eccome se è compiuta.

Proprio lui, infatti, ha contribuito a rendere Bowie un’icona vivente, ma ha anche dato a milioni di persone il coraggio per essere esattamente quello che si vuole. Il 3 luglio del 1978 David si liberò di Ziggy, con l’ultima data del tour mondiale con gli Spiders from Mars: in fondo lo sapeva che, nonostante tutto, Ziggy non se ne sarebbe andato mai davvero.

 

Leave a Reply