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Intervista / Mòn al FeMade – Musica Femminile Plurale

By marzo 19, 2018 No Comments

Lo scorso 17 marzo a Castelbuono, in provincia di Palermo, è iniziata FeMade – Musica Femminile Plurale, una nuova rassegna musicale che prevede quattro concerti di band che presentano almeno una musicista. Organizzata dall’associazione culturale Spazioscena, con il contributo di Nuovo Imaie e la collaborazione di dischirotti., FeMade presenta per l’occasione un format speciale legato a 4 donne, 4 voci, 4 concerti e 4 generi. Sono stati i Mòn ad aprire la rassegna. La band romana canta in inglese e suona un genere musicale che parte dall’indie-folk e spazia con sonorità elettroniche e ritmiche più elaborate.

Il concerto si è svolto al Centro Sud, una chiesa sconsacrata all’interno del paese madonita. Nonostante l’acustica del luogo non giocasse a favore della band, il fonico Simone Salvucci è riuscito a far apprezzare al meglio il concerto dei cinque ragazzi romani. Di grande impatto sono state le visuals utilizzate, capaci di proiettare lo spettatore in un altro mondo, in un film con una fiabesca colonna sonora cantata da Carlotta Deiana e Rocco Zilli.

Prima del concerto ho avuto l’occasione di intervistare la band in un luogo molto suggestivo: la cripta della chiesa.

 

La prima domanda, per vostra fortuna o sfortuna, è spesso la stessa in qualunque intervista: chi sono i Mòn?

I Mòn sono degli amici, un collettivo, dei suoni. Cinque musicisti più variabili, tra cui Simone Salvucci, che gestisce i suoni.

 

Il concerto di oggi è in una location speciale, sia perché è una chiesa sconsacrata, sia perché è il Mr. Y stage dell’Ypsigrock Festival che si tiene ogni anno ad Agosto, una realtà diventata molto importante in Italia. Che rapporto avete con i festival italiani?

Abbiamo un ottimo rapporto, ne abbiamo girati un bel po’ la scorsa estate. La Sicilia è stata una delle mete più belle, siamo stati al NIM, al Pas De Trai e al Cufù. Ci piacerebbe tantissimo tornare qui per l’Ypsigrock!

 

Negli ultimi anni sembra che molti italiani siano più propensi all’ascolto di musica internazionale o di band italiane, come la vostra, che hanno un’impronta sonora, linguistica e stilistica che va oltre i confini del nostro Paese. È vero o solo una mia impressione?

In realtà secondo noi la tendenza degli ultimi anni verte più sull’italiano, vedendo soprattutto i vari Calcutta, Motta e Thegiornalisti, ma comunque c’è anche chi emerge pur cantando in inglese, come Wrongonyou o Birthh. Comunque l’ascolto della musica inglese è rimasto molto alto, con gruppi molto famosi come Alt-J o Arctic Monkeys, che sono ancora molto in voga qui in Italia.

 

Spesso in tutte le band, anche se molto unite, vi è un frontman che solitamente è chi canta e/o scrive i testi, ma nel vostro caso c’è una dualità di voci che non si trova ovunque. Chi di voi scrive? E, domanda di rito, perché avete scelto la lingua inglese?

Le nostre canzoni nascono da diverse idee musicali di ognuno di noi. Con la condivisione si crea la struttura finale, ma si parte da dei piccoli nuclei che ci lasciano immaginare tutto il resto della canzone. Poi si litiga e si riesce a trovare un’armonia al tutto.

L’utilizzo della lingua inglese probabilmente è dato dal fatto che tutti noi ascoltiamo molta musica internazionale, quindi questo ci porta ad una scelta comune, ci è venuto naturale. Non ce lo siamo chiesti quando abbiamo iniziato, anzi ce lo stiamo chiedendo proprio adesso, stiamo facendo un lavoro introspettivo!

 

FeMade ha voluto dare spazio a quattro voci femminili. Pensando ad esempio ai recenti avvenimenti nel mondo del cinema, quale credete che sia la posizione della donna nel mondo della musica?

Sicuramente la musica è ancora fortemente maschile, la donna ha una fetta minore, ma il nostro ambiente rimane molto familiare, essendo ancora un gruppo emergente non abbiamo mai avuto a che fare con situazioni in cui effettivamente becchi lo squalo che ti dice che devi fare per forza qualcosa. Però in generale ci siamo trovati ad avere una certa parità con altri gruppi di soli ragazzi, sicuramente il ruolo della donna è molto rispettato, non abbiamo niente da temere.

 

Oggi che chiunque può caricare autonomamente il proprio album sui digital store, gestire la comunicazione e i concerti da solo, quanto è importante secondo voi l’aiuto di un manager, di un’etichetta e di un’agenzia di booking?

Dipende da come vuoi muoverti, da che immagine vuoi dare. Spesso dipende anche dal genere musicale o dal tipo di carriera che vuoi fare, ad esempio c’è chi voleva essere assolutamente indipendente e ha fatto tutto da solo. A noi ci ha aiutato tantissimo avere tutto questo, anche perché siamo partiti con delle difficoltà legate al genere che suoniamo e alla lingua, quindi avere questo aiuto è stato di vitale importanza. Abbiamo suonato in posti in cui non saremmo mai arrivati da soli, anche perché quando parti da zero è difficile farti ascoltare senza avere questi uffici dietro, l’agenzia di booking soprattutto è una garanzia.

 

Per deformazione professionale, occupandomi di copertine musicali con dischirotti., voglio farvi una domanda riguardante la copertina del vostro disco: com’è nata? E che ruolo ha secondo voi l’immaginario grafico di un disco in un periodo in cui si preferisce solamente guardare ciò che salta all’occhio invece che leggere e approfondire?

Stiamo cercando di lavorare in modo che tutti gli aspetti paralleli alla musica siano comunque gestiti da noi o da persone di cui apprezziamo il lavoro. Per noi ha tutto più o meno una stessa valenza, la grafica è stata una delle prime fissazioni, infatti abbiamo deciso subito di avere queste visuals animate dietro di noi. Abbiamo conosciuto Marco Brancato, che consideriamo un altro membro dei Mòn, visto che ha curato tutte le nostre grafiche del disco e due singoli. Marco è stata la parte estetica che ci mancava, ci siamo conosciuti e senza nessun vincolo ha sviluppato graficamente ciò che il disco gli faceva percepire. Alla fine ci siamo trovati al punto in cui ciò che lui vedeva nelle nostre canzoni era quello che noi volevamo che gli ascoltatori vedessero, è stato amore a prima vista!

 

Ultima domanda: dieci mesi fa è uscito Zama, il vostro album d’esordio. Dopo questo tour dobbiamo aspettarci qualcosa di nuovo?

Il cantiere non chiude mai, non si finisce mai di lavorare. Probabilmente andremo un po’ in giro in estate, ma tra quest’ultima data e l’inizio del nuovo tour speriamo di riuscire a scrivere le prime produzioni di ciò che dovrebbe essere il nuovo disco, speriamo nel 2019, sarebbe bello!

 

“Io mi sa che non me ne voglio mai più andare da qui” – Carlotta Deiana

Tra tanto cibo e tante risate, i Mòn, pur essendo giovanissimi, hanno eseguito un ottimo concerto, ricevendo la completa attenzione e i complimenti di un variegato pubblico. Certamente devono ancora maturare. Come hanno detto loro, il cantiere non chiude mai, ma sono sulla buona strada.

Tutti i brani suonano molto bene dal vivo, oserei dire anche meglio in confronto al disco, ciò grazie al fatto che la band è unita e presenta una formazione ben studiata, capace di incantare e stupire il pubblico. Per il bis hanno suonato due nuovi pezzi, dove si nota la maturità e la consapevolezza di un sound che comincia a definirsi, che appartiene loro.

Speriamo di rivederli presto in giro, con nuovi brani, con la loro naturalezza e con ancora tanta voglia di suonare e divertirsi.

Le foto della serata sono di Michele Puccia e Gemma Fullone.

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