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Chris Cornell, “No One Sings Like You Anymore”

By febbraio 4, 2021 No Comments

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.

Sono trascorsi quasi 4 anni da quella notte fra il 17 e il 18 maggio 2017, durante la quale – dopo un concerto con i suoi Soundgarden – Chris Cornell decideva di farla finita impiccandosi nel bagno di un hotel di Detroit, Michigan, utilizzando un nastro di gomma elastico che di solito viene usato per chiudere i “flycase” che trasportano strumenti e materiale da un concerto all’altro durante i tour.

Il resto è storia: seguono sgomento e stupore, poi le solite disquisizioni circa la vera causa del gesto, teorie più o meno complottistiche, polemiche e controversie anche giudiziarie.

Christopher John Boyle, nato (lui sì) a Seattle il 20 luglio 1964, è stato uno degli esponenti più influenti e forse anche più sottovalutati del grunge; voce nasale assai più inconfondibile rispetto a quella del più famoso esponente del genere e frontman dei Pearl Jam, ha militato – oltre che nei citati Soundgarden – anche nel super gruppo degli Stone Temple Pilots e successivamente negli Audioslave.

Ma è nella sua carriera da solista che Cornell ha saputo esprimere sé stesso nella sua forma migliore e a tratti più autentica, sia pur tralasciando qualche piccolo passo falso, a partire dall’eccellente ed inarrivabile esordio Euphoria Morning, fino ad arrivare all’ultimo, appena più commerciale, Higher Truth.

O forse penultimo, dovremmo affermare, posto che è da poco uscito – almeno nella sola forma liquida (il formato fisico è atteso il 19 marzo 2021) – l’ultimo, postumo, album in studio dal titolo “No One Sings Like You Anymore”, di sole cover e curato per lo più dagli eredi di seconde nozze.

Almeno nel mondo della cultura pop, la morte di Cornell è il lutto che più mi ha segnato negli ultimi anni, vuoi per averlo scoperto e compreso tardi, alla stregua di un amore maturo, vuoi per aver mancato, per un soffio, le sue ultime tappe in Italia nel lontano 2016.

La profondità e la complessità del personaggio così come della sua musica, non di facile appeal, mi ha segnato profondamente, riuscendo a toccare corde che nemmeno i miei autori preferiti si sono degnati mai di raggiungere così in fretta e con tale forza.

La storia di Chris Cornell è sicuramente una storia d’amore: non di un amore felice e roseo, però, ma tormentato e travagliato sin dalla sua infanzia, durante la quale ha sofferto di lunghi periodi di depressione e dipendenze varie, dovuti anche alla difficile situazione familiare che ha vissuto, soprattutto a causa del divorzio dei genitori e che lo ha spinto a prendere il cognome della madre.

La sua, però, è soprattutto una storia di fantasmi: di quelli che logorano dentro e divorano l’anima, capaci di rendere un gigante alto 188 cm succube di droghe, farmaci e depressione per spingerlo fino alla tragica, e per certi versi apparentemente inaspettata, decisione di farla finita.

Fantasmi mai sopiti, che sembrano non avere mai smesso di tormentare un uomo fondamentalmente solo ed estremamente fragile, sono anche quelli legati alle dicerie attorno alla sua morte e alle dispute legali che ne sono puntualmente seguite.

Un album di cover, dunque, benché di recente la seconda moglie Vicky, intervistata a più riprese, abbia dapprima rivelato l’esistenza di una ulteriore raccolta di incisioni di pezzi altrui e, poi, di un progetto di pubblicazione di altro materiale inedito originale.

Testamento spirituale o pretesto per fare cassa?

Agli occhi del neofita l’impressione (legittima) è quella che possa trattarsi dell’ennesima e oramai abusata opera di raschiatura del barile, che vede magicamente saltar fuori – a cadavere ancora caldo – pezzi nuovi ovvero opportunamente riarrangiati da accompagnare a qualche extra, più o meno prescindibile, per fare gola ai soli fan più sfegatati.

Non può sottacersi, tuttavia, che specie nell’ultimo periodo Cornell si era elevato ad interprete assoluto, prestando la sua splendida voce al servizio di pezzi composti da altri, snaturandoli e riscrivendoli ad un tempo, regalando pathos ed emozioni persino più intense delle versioni originali, senza averli mai incisi fisicamente.

La rete, infatti, è zeppa di sue cover tra le più disparate, che spaziano dalla devastante meraviglia assoluta di Nothing compares to you (la cui versione in studio è presente nell’album), fino alla scarna ed essenziale Billie Jean, passando per Redemption song e I will always love you, a riprova della estrema poliedricità della sua voce e delle indiscutibili qualità di Cornell come performer.

Le interpretazioni di Cornell, va detto, non sono rivoluzionarie: nulla a che vedere, per intenderci, con gli strabilianti stravolgimenti operati da Jeff Buckley con Halleluja, da Jimi Hendrix con All along the watchtower oppure da Johnny Cash con Hurt.

Le cover di Chris Cornell non si distaccanno mai troppo dalle versioni originali, anche per la complicità della (iper)produzione di Brendan O’Brien (ancora lui, mannaggia!).

Così restano immediatamente riconoscibili pezzi come, oltre alla già citata Nothign compares to you, Whatching the wheels (John Lennon), Patience (Guns n’Roses), You don’t know nothig about love (Carl Hall) e Showdown (Electric light orchestra).

Che pensare quindi dell’opera nel suo complesso? A voler mutuare, mutatis mutandis, dalla nobile – ed oggi snobbata – arte della traduzione l’antico adagio secondo cui, quando si traduce, si perde inevitabilmente qualcosa ma si recupera altro, potremmo parimenti affermare che le interpretazioni di Chris Cornell, pur non brillando certo per originalità, aggiungono tanto in termini di intensità e potenza, specie quando la produzione abbassa il volume e l’inconfodibile voce nasale di Chris Cornell esplode in tutta la sua pienezza (come in Sad sad city dei Ghostland Observatory e Jump into the fire di Harry Nilsson).

Ritengo tuttavia che – pur lasciando perdere l’operazione nel suo complesso – l’album in sé resta apprezzabile per i soli fan, che già conoscono e sanno cosa aspettarsi.

Per tutti gli altri, invece, meglio procedere oltre e soffermarsi prima sui fondamentali, Superunknown su tutti, con l’imperativo di non tralasciare Euphoria Morning e Higher Truth.

 

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