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Colapesce, Dimartino e “I Mortali”: la Sicilia come destinazione universale

By giugno 10, 2020 No Comments

Non si è mai placato il desiderio di riscoprire la sicilianità nell’arte, soprattutto nel cantautorato italiano. Questa vocazione tortuosa, ancora viva nel terzo millennio, assume i tratti di un percorso in salita da affrontare considerando variabili, sfumature e dettagli la cui complessità non è mai stata superata del tutto.

Dimartino e Colapesce, al secolo rispettivamente Antonio Di Martino e Lorenzo Urciullo, rappresentano due anime musicali sicule affini nel cogliere i dettagli sottili, i difetti necessari e le contraddizioni naturali del vivere umano e diversi nella costruzione musicale, nelle tonalità e nell’interpretazione. Nel 2020, anno che non verrà certo dimenticato, arriva la loro prima collaborazione dopo gli anni della gavetta, della crescita e della maturità artistica individuale.

Le idee, i tormenti e l’empatia circolano intorno a un album che vuole cogliere la passione degli sguardi, l’adolescenza sfuggita negli istanti e la rabbia della perdita. I Mortali, ardito nel titolo e nelle intenzioni, è un puzzle di memoria e prospettiva finalizzato ad un’introiezione del mondo moderno attraverso le tracce del passato: il futuro è una percezione che non trasforma le azioni commesse, i sorrisi negati e i gesti immaginati, ma li interpreta nel contemporaneo.

Non si accavallano sogni dimenticati né si accoglie qualche verità da svendere; l’intero cammino musicale è un’analisi del tempo e dei suoi effetti nel microcosmo di un’isola che diventa il mondo intero. Le voci diventano il blu del mare d’estate che accompagna un’apocalisse intima trafitta dal vento torrido e dal suono ossessivo delle cicale. L’album trasmette un sentimento insulare pervaso dai resti di civiltà perdute, da rimpianti emotivi riscoperti nella sabbia e da una perdizione collettiva che distrugge improvvisamente la quiete.

Questi intenti, che esprimono al meglio il ruolo dei due musicisti siciliani, vengono affrontati partendo da un’autoironia inaspettata, percepibile nell’intro de L’ultimo semestre, che apre il disco: “Ora lasciami solo come un cantautore…”. Prima di tutto il resto, si ritorna quasi a schernire la figura dell’artista, più precisamente il cantautore che cerca un equilibrio personale, una credibilità messa in crisi dall’apparenza dei gesti, da uno stile di vita che rispecchi necessariamente la dannazione necessaria.

La scelta di una simile autoironia come incipit di un album già mette in chiaro quell’umana mancanza di riferimenti assoluti, quella mortalità incontrovertibile con cui fare i conti quotidianamente. Questa stessa ironia rispetto alla categoria dei cantautori è stata sempre discussa nel tempo: basti pensare a Piero Ciampi, che già nel 1973 scriveva Ha tutte le carte in regola, puntando il dito contro gli stereotipi artistici che rendevano prigionieri gli autori.

Subito dopo, Rosa e Olindo, che è già un cuore pulsante, definisce un amore macchiato dal crimine che sospira fra la ricerca di umanità e la spettacolarizzazione televisiva del delitto, disegnando l’amore fra due criminali come una contraddizione inaspettata (“…Che male c’è ad avere pianto?”). Ma è con Luna araba, in collaborazione con Carmen Consoli, che si coglie quella dimensione esotica divisa fra una ricercata spensieratezza e le spiagge roventi di un’estate siciliana. Cicale, invece, abbandona i precedenti ritmi accesi e abbraccia tonalità più controllate, come se si raccontasse una storia a bassa voce nel silenzio di un tramonto tropicale.

Allo stesso modo, Parole d’acqua inizia fischiettando per arrivare a scenari elettronici condizionati dal carattere effimero delle azioni e delle parole dette. Questo percorso musicale è già il panorama di una caducità umana che non ha paura di mostrarsi, la consapevolezza di una fragilità innata che governa gli sguardi e i sensi. Anche in Raramente, che persiste in questa ricerca agguerrita delle imperfezioni (“Le emozioni nascoste sono colpi di grazia/sono vetro che riaffiora dalla sabbia/raramente sei solo un pensiero leggero/raramente il bicchiere è mezzo pieno”), i sentimenti si confondono fra le onde, come se la marea fosse una sintesi romantica perfetta ed esaustiva.

In questa Odissea, la rotta tracciata diventa complessa e porta l’esistenza a confrontarsi con orizzonti apocalittici, sia personali che universali. L’ultimo giorno è la necessità della memoria, il ricordo su cui si costruisce il futuro, anche se esso dovesse essere un epilogo inaspettato (“..Che fine del mondo sarebbe senza di te?); l’orizzonte diventa la condivisione, il ritorno ai luoghi vissuti come destinazione dei sentimenti, i giorni della scuola che ricordano una vita intera allontanando delusioni e perdite.

Noia mortale, scacciando i cattivi pensieri, è una liberazione da sensi di colpa e oppressioni soffocanti (benedetta la notte che spegne i pensieri e accende la luna), la riscoperta di un’instabilità innata nascosta in false convinzioni personali. In questa dispersione di tormenti e paure, Adolescenza nera è la tempesta giovane che assale e sfugge nell’immediato, diventando già il ricordo amaro di un’inquietudine ingestibile e meravigliosa (tutto perfetto nell’essere sbagliato).

La traversata si conclude con Majorana, splendida ballata in acustico che ripercorre il tempo partendo dalla realtà di un liceo, mostrandosi come perfetta conclusione di questo viaggio interiore iniziato dal sud e proiettato nell’universo. L’amarezza, l’emozione e il ricordo sono i messaggi romantici che scuotono l’animo fra i resti di un tempio e giungono al presente, fino alla realtà di un liceo siciliano. I Mortali è album personale, costruito sull’incertezza del reale e l’immortalità dei sentimenti attraverso lo sguardo introspettivo di un orizzonte disegnato dagli scogli di un’isola. Tante contaminazioni, equilibri sonori giostrati attraverso influenze elettroniche e ritornelli sofferti, un silenzio che accompagna i destini personali, poi interrotto da vento e marea. I testi diventano terminazioni nervose, storie di uomini e donne che si ritrovano a confrontarsi con azioni e reazioni indecifrabili.

La Sicilia diventa il luogo dell’esistente, il punto di arrivo in cui rimangono gli esseri umani, un’isola da cui osservare il tempo che scorre senza una mappa, lasciando che tornino alla mente le parole di Leonardo Sciascia in Candido: “sai cos’è la nostra vita? La tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse stiamo ancora lì e stiamo sognando”.

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