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CocoRosie: “Put the Shine On” (2020, Marathon Artist)

Cos’è l’ispirazione e dove la si ritrova una volta fuggita? Quali saranno mai le regole (non scritte) che possono determinare uno status di “hype” (o meno)?

Probabilmente sono domande che le sorelle Casady si saranno poste spesso nel corso del decennio appena trascorso: proprio loro che con il fulminante esordio “La Maison de Mon Rêve” del 2004 ed almeno i due successivi album (“Noah’s Ark e The Adventures of Ghosthorse & Stillborn“) erano state sulla bocca e negli iPod di tutta la intellighenzia indie-qualcosa del globo intero, e di cui negli ultimi dieci anni appunto avevamo avuto notizie sempre più diradate e discontinue. Apparentemente non per loro colpa, visto che nei primi anni degli anni ’10 avevano dato alle stampe ben tre dischi, ma abbandonate dalla dea dell’ispirazione, o forse da quella del misterioso hype, le avevamo un po’ perse sul radar.

Adesso tornano con un nuovo disco intitolato “Put The Shine On”, ovvero: “Brilla”. Il disco si apre con gli uccelli gracchianti e poco benauguranti di “High Road” che fanno strada ad una melodia convincente e caratterizzata da quella follia che da sempre rappresenta un marchio di fabbrica delle CocoRosie.

Anche “Mercy” risulta convincente con la sua elettronica lo-fi e delicata, fiati storti, le solite voci dolcemente stridule soprattutto nel ritornello (lirico ed emozionante), e chitarre avvolgenti e groovose, per quanto rade. Si prosegue con la melodia da evergreen degli anni ’60 di “Restless” e con “Smash My Head”, canzone (accompagnata da un video folle per ambientazione e personaggi) che risulta tra le più convincenti del disco.

Il disco prosegue con l’incedere di una drum machine giocattolo quanto mai essenziale e di un organo che fa da buon compagno alle tristi melodie e all’immancabile glockenspiel a chiedersi “Where Did All the Soldiers Go”.

Di “Hell’s Gate” ricorderemo le ritmiche un po’ disordinate e poco più, mentre “Did Me Wrong” alza nuovamente la cifra del groove con una convincente linea vocale r&b e il contrappunto di una chitarra elettrica a tratti insolente.

La simbologia visionaria delle liriche delle sorelle Casady e le tante vocine che devono avere dentro (e che governano la loro scrittura) trovano la loro manifestazione più evidente in “Lamb and The Wolf”, dove la situazione è, secondo le sorelle Casady, sempre la stessa: l’agnellino morirà e il lupo sarà incastrato. Ciascuno la interpreti come vuole, ma Sierra e Bianca sono risolute a non farsi “britneyspearsare” (beh sì, usano la popstar simbolo degli anni ’90 come un verbo transitivo) dal prossimo bravo ragazzo invidioso del loro pezzo di paradiso.

Il disco si avvia al termine con la forse meno ispirata “Slow Down Sun Down” ma soprattutto con “Burning Down the House” che mantiene le buone promesse di un inizio serrato che si incastra con voci hip hop, ritornello melodico e vocine pazze qua e là.

In chiusura la lirica “Ruby Red” dedicata alla loro little momma morta durante le sessioni di registrazione di questo disco, che però non suona come un inno funebre ma piuttosto come una presa d’atto fatalista della dipartita terrena e al contempo come un tenero saluto alla madre che “è ora nella nostra canzone, la Signora Morte non sbaglia mai, non fa errori”.

Il disco si chiude con “Aloha Friday”, una evocazione alle madri dell’oscurità, alla magia marrone e a quella grigia, al peso dell’ombra e agli arcobaleni ed al cielo che piangono. La malinconia di questa chiusura inspiegabilmente ha in sé la magia di far tornare alla mente per contrasto l’esortazione contenuta nel titolo del disco: “Brilla!”.

Hey, sorelline, piacere di avervi ritrovate, dove diavolo eravate finite?

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