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Daft Punk: Epilogue

By febbraio 22, 2021 No Comments

Daft Punk: Epilogue

22 Febbraio 2021, la fine del mondo e mi sento tranquillo.

Un amico mi ha mandato un vocale su whatsapp:

“Ma che cazzo sta succedendo ai Daft Punk!?”

“Non ne ho idea, perché?!”

“Si sono sciolti. Vai su Facebook”.

Decine di repost di Epilogue è la fine davvero.

Ho scoperto i Daft Punk al liceo, con Human After All (2005) forse il loro disco più debole, ma comunque la pietra miliare cui è eseguito quello che è verosimilmente il concerto più seminale della storia della musica contemporanea: il set della piramide di luce a Coachella nel 2006.

Poi, lungamente, li ho dimenticati.

Quando mi trovavo in Francia, a Lione, essendo uno studente di filosofia, e quindi non sapendo fare assolutamente nulla, mi sono trovato bisognoso di qualche soldo per sfangare la fine del mese, così mi sono detto: “Hai un computer, potresti scaricare Virtual DJ e mettere musica in qualche localino, sembra facile”. – Non è facile – Da rockettaro, punkone, metallesco, appassionato di bebop, cominciai a fare qualche set (con passaggi terrificanti) che spaziava dai Joy Division ai Ramones, ai Nazareth, fino ad arrivare, inspiegabilmente, a Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus. In breve: una porcheria improbabile. Ad una certa, stanco di fare schifo, ma comunque prendendoci gusto, decido di ripensare un po’ ai miei ascolti più elettronici e mi dico: forse è il caso di ascoltare bene i Daft Punk. Così mi sono messo davanti alla loro discografia e solo Homework penso di averlo sentito non meno di un centinaio di volte in un mese, una media di tre-quattro volte al giorno. Da lì: è finita. Ci sono pochissimi artisti che riesco ad ascoltare sempre con piacere, ad infilare dappertutto: in ogni momento, ogni situazione, ogni sensazione. C’è un ambiente sonoro dei Daft Punk per tutto, perché i Daft Punk non fanno, anzi facevano, canzoni, i Daft Punk hanno dipinto paesaggi sonori, dove accomodarsi con fiele o con dolcezza, con mestizia, torpore, con gioia, sono stati il più grande momento creativo della storia della musica contemporanea, la più interessante unione di stili, generi, idee, il tutto in una suggestione del tutto originale, personale eppure universale. I Daft Punk sono stati la res gestae dell’elettronica, dalla disco al funky, fino ai suoni glitch e sintetici degli anni ’90, della rave culture, e poi sono tornati alla pasta analogica di Random Access Memories, al suono caldo del basso, della batteria, della chitarra di Nile Rodgers. Tutto avvolto non dal mistero, ma da riferimenti ad un’estetica piuttosto precisa, che affonda nella cultura pop giapponese.

Forse uno dei più grandi privilegi accordati a chi fa il DJ è quello di condividere i propri pensieri attraverso una linea musicale, penso che in tanti ricorderemo i Daft Punk quando torneremo a ballare, sto osservando il vinile di Homework e già penso al suono pulito di Da Funk, alla sporcizia punk di Rollin’ & Scratchin’, a quanto Indo Silver Club mi ricordi Positive Education degli Slam, a come Alive eriga monumenti al clubbing.

 

In fondo, si scriveranno pagine e pagine sui Daft Punk e sulla fine, l’Epilogue, ma forse, nella sua pur netta ovvietà, l’unica cosa necessaria da scrivere è che i Daft Punk non sono mai stati come gli altri. Quel che è, non può dirsi.

Grazie.

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