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Ghemon. Tanti volti per un artista che cresce

By marzo 31, 2018 No Comments

Tra la partecipazione a Sanremo, l’uscita del suo ultimo album e del suo primo libro, chiunque in questo periodo avrà sicuramente sentito il nome di Ghemon. Palermo sarà tra le tappe del suo “Mezzanotte Tour”: 5 Aprile, I Candelai!
Abbiamo avuto l’immenso piacere di intervistarlo in anteprima, chiedendo qualche curiosità sulle molteplici figure che ricopre questo artista!

 

Ciao Ghemon, grazie mille della disponibilità!

Non sappiamo veramente da dove cominciare… ti abbiamo visto cambiare e migliorare in tutti questi anni fino a diventare ciò che sei adesso: un esempio per le generazioni che sono cresciute con la tua musica. Questa è influenzata da vari generi e, a sua volta, ha influenzato un po’ tutti i sound nati successivamente. Senti il peso di questa “responsabilità” sugli astri nascenti della musica italiana?

Vi ringrazio perché è un complimento quello che mi state facendo, ma come “responsabilità” sento solo quella di continuare, non fermarmi e proseguire su questa strada. Le responsabilità sono pesanti ma è un peso accettabile, divertente dai!

 

Ascoltando il tuo disco ho cercato di afferrare il filo conduttore: la rivincita sul male. Il tuo, da quanto racconti, è stata la depressione. Mi hanno colpito molto i brani “Bellissimo” e “Quassù” che, messi di fila, li voglio immaginare come un unico storytelling: nel primo racconti ciò di cui hai sofferto e come ne sei uscito, nel secondo, invece, tutti i riscontri successivi. Abbiamo già parlato di “responsabilità” e adesso ti chiedo: c’è qualcosa che non hai detto in musica e che vorresti dire ai fan che ti considerano la loro forza per superare momenti del genere?

Ciò che non ho detto in musica è stato detto nel libro, quindi adesso non ci sono tantissime cose da aggiungere. È importante il fatto che ci sia un disco come Mezzanotte, un libro che lo completa ed un concetto da afferrare: se uno riesce a fare tutt’e tre le esperienze, capisce bene. Diciamo che è un’opera abbastanza complessa. Il consiglio che posso dare è in generale che i momenti di difficoltà passano, poi ci sono momenti e momenti: quelli passeggeri e quelli che segnano di più, ma non esiste una cosa a cui non c’è rimedio.

 

Passano gli anni e le barre lasciano spazio a tante altre sonorità. Nel brano “Cose che non ho saputo dire” non ho potuto fare a meno di notare a metà della seconda strofa un accenno ad un flow underground che però, scegli di strozzare. Lo ritroviamo poi libero di esprimersi nell’ultimo pezzo della tracklist, Kintsugi. Questo continuo allontanarsi è una scelta voluta? La tua musica è in continua evoluzione, ma senti più la necessità di cantare a modo tuo che di sputare barre?

Và, diciamo che è un po’ come mi sveglio. *ride* La prendo con enorme leggerezza in questo momento. L’approccio al “Che faccio? Cosa dovrei fare?” ora è molto più tranquillo. Prima era “Oddio! E adesso che faccio? Rappo o canto su questa strumentale?”. Ora è un po’ come cavolo mi viene e con molta gioia di non averle prese come due cose separate. È diventata una scelta facile e fondamentale, come scegliere se bere l’acqua naturale o gasata, di entrambe le cose ho necessità.

 

È uscito da breve su YouTube una collaborazione con RedBull che vede un Ghemon vecchio stile su un beat di AndryTheHitmaker, uno dei produttori di punta di questa nuova scuola. Ti va di darci un parere su questo nuovo mood esportato dalla trap? Ti ci ritroveresti dentro in qualche modo, anche lontano?

Non credo che mi ci ritroverei dentro a conti fatti. Se qualcuno prendesse “Bellissimo” o “Quassù” o anche “Adesso sono qui”, ci facesse un beat trap e mi mettesse l’autotune, non sarebbe molto diverso da quei pezzi. In realtà è solo il vestito che io metto alla musica e il suo contenuto che te la fa leggere in un modo o in un altro. Diciamo che cerco di stare al passo coi tempi tanto quanto ci stanno quelli più giovani. Alcuni hanno capito, altri no, ma mi preoccupo solo di chi c’è, non di chi è assente. Non so cosa potrei fare nella scena trap, conosco anche qualcuno dei ragazzi di persona e mi immischierei in alcune dinamiche che non c’entrano con me. Al di là di tutto, però, sono anche un ascoltatore…

 

Wow, sinceramente non ce l’aspettavamo proprio!

Massì dai, non ascolto rap italiano tutti i giorni ma ogni tanto mi capita di ascoltarlo: so di cosa si tratta. Non sempre me lo vado ad ascoltare di proposito ma capita quel pomeriggio in cui mi trovo ad ascoltare qualche brano, come per esempio mi è successo con le prime robe di Ghali o Orange County di Tedua, sono molto curioso! Se mi chiedi di cantarti a memoria un ritornello di Drefgold non lo so proprio, ma se mi chiedi di Quentin40 ti rispondo “Sembra di stare a Thoiry!”. Sono preparato sull’argomento dai, non è la roba che mi ascolto quando vado al supermercato o in palestra, ma “I know my shit”: la mia materia la conosco.

 

Questo nuovo genere, la trap appunto, ritiene fondamentale la presenza di una produzione musicale che, molto spesso, primeggia sui contenuti  in generale mediocri. Ghemon oggi ha anche una band dietro, una produzione molto diversa sia in studio che live. Ma se dovessi scegliere di improvvisare un’esibizione, preferiresti avere alle tue spalle una band o un beatmaker?

Assolutamente una band. È stata proprio una scelta fatta con piacere, non è stata forzata in alcun modo da svolte a livello commerciale. Già da tanto tempo volevo fare musica con alle spalle una band e credo moltissimo in questa formula. Poi posso fare il 99% delle cose che posso fare con un beatmaker, quindi nessun problema.

 

In un’intervista hai dichiarato che il brano “Temporale” è stato scartato da Sanremo, giusto?

Non è stato proprio “scartato”, non è il termine corretto, semplicemente alle selezioni non è stato preso in considerazione

 

Ma alla fine ti sei comunque ritrovato lì in veste di ospite con Roy Paci e Diodato. Dopo aver osservato il meccanismo dall’interno, rifaresti questa esperienza, magari in veste di concorrente?

Sì, la rifarei senza dubbio. Ci sono andato già con un ottimo spirito la prima volta, con uno spirito di uno che non si aspetta nulla ma va a farne esperienza. Né con il muso, né teso, senza dire “ora la mia carriera decolla”, ma tranquillo, divertito, con un paio di amici, appunto Diodato e Roy Paci. L’ho fatto, l’ho capito, so che posso sopravvivere e so che volendo posso anche dire la mia. Poi c’è tutto un giochino giornalistico che dura una settimana, di televisioni e di testate che mi hanno un po’ massacrato. Ma se accetti quella cosa lì, sai anche questo, devi far parte del gioco. L’ho già accettato, l’ho già fatto e non mi fa paura, quindi perché no? Se può essere un’opportunità per dire una cosa diversa bella lì, altrimenti no. Intendo dire: se devo andare perché mi serve fare un pezzo per allargare il mio pubblico, pure sticazzi; se posso andare per dire un po’ di mie cose, per sentire dire a qualcuno “oh, finalmente un po’ di roba nuova a Sanremo”, dico di sì.

 

È uscita da poco una ristampa in vinile di “E poi, all’improvviso, impazzire” e le sonorità che ascoltiamo, nonostante la vecchia data (2009), sono comunque molto molto simili alle tue recenti. Forse avevi già intravisto la direzione i cui sarebbe andata la tua musica oppure non ti sentivi ancora pronto per portare un’innovazione così fresca, forte e decisa?

No, anzi, volevo. Anche se in “E poi, all’improvviso, impazzire” ci sono delle chitarre e un sacco di synth suonati, non è proprio la stessa cosa. Comunque che la direzione era quella lo sapevo già all’epoca, ma non c’erano i mezzi, non sarebbe stato possibile in quel momento lì: cosa di cui ho sicuramente sofferto. L’evoluzione con la band e di cantare l’avrei voluta attuare sicuramente prima, ma quei dischi sono serviti ad arrivare a fare questo. Possiamo dire però che “ORCHIdee” poteva anche arrivare con un disco d’anticipo: quella è una cosa di cui mi rammarico, potevo arrivare almeno un disco prima.

 

Sei stato per svariati anni in Blue Nox ed ovviamente credo che il tuo percorso sia stato influenzato moltissimo da quel gruppo. Saresti favorevole ad una reunion o ad un’eventuale collaborazione con i vecchi membri?

Perché no, la questione è solamente rimasta in ghiacciaia. Ovviamente ognuno sta facendo le sue cose, è rimasto sui suoi passi… sento spesso i vari Kiave, Mecna ecc. Quella lì è stata un’esperienza nata dal fatto che eravamo amici, per fare musica in compagnia. Le reunion dobbiamo farla per mangiarci una bella pizza tutti insieme! Non abbiamo materialmente tempo per incontrarci, bisogna cercare gli incastri giusti.

 

Per i nostri gusti personali, non ti nascondiamo che i tuoi brani e i brani dell’artista che stiamo per nominare, sono i nostri preferiti. Dopo non aver notato neanche una collaborazione nei suoi ultimi due album e nel tuo, da real fan ci sembra doveroso farti questa domanda, sentiti libero di rispondere o meno: in che rapporti sei con Mecna? Potremmo aspettarci in futuro nuovamente una collaborazione?

Credo di no, perché lui pensa che io abbia un problema di sudorazione ed io penso che lui non si lavi i denti, perciò nulla da fare. *ride*
Ma certo che sì! Ci sta! Nell’ultimo disco le grafiche le ha fatte comunque lui, quindi ci siamo. Certe cose, però, non si fanno solo per amicizia; certi brani per certe cose che si scrivono sono momenti che non si possono condividere, ma sono sicuro che succederà qualcosa molto prima di quel che pensiamo.

 

Oggi, invece, la tua produzione è affidata a Macro Marco: ti va di raccontarci  brevemente come lavorate insieme?

La produzione di Macro è principalmente esecutiva, vera e propria produzione discografica. Ora la squadra si è allargata, è impostata in modo diverso da come si organizzano le cose quando fai rap. Sono io che compongo in prima persona, faccio delle bozze e le propongo. Lui per me è ormai una figura molto più manageriale. Sicuramente, avendo anche una grande esperienza da rapper, da dj, da producer, nella musica in generale, è ovvio che diventa un grande punto di confronto e di paragone. Le scelte sono mie, le aggiusto e le sistemo con la band, molte cose le studio con il produttore che negli ultimi due dischi è stato Tommaso Colliva, che non è altro colui che si occupa di tutte le registrazioni e cura il sound del progetto. Macro, da buon discografico, supervisiona sempre tutto e dice la sua. Il processo è più ampliato rispetto al passato, cosa che non mi dispiace affatto, anzi, mi piace molto.

 

Avrai sicuramente notato che più che con la musica, molti artisti spingono il loro stile inserendosi sempre di più nel mondo della moda. Essendo tu un noto appassionato di sneakers, ti hanno mai proposto di ideare una tua linea? Se no, ti piacerebbe?

Mi hanno chiesto spesso di collaborare, mai di ideare una linea, ma non credo che accetterei: faccio il cantante, non voglio spingermi così avanti. In ogni caso, mi piacerebbe molto collaborare, anche per qualcosa di limited, francamente me lo auguro.

 

Dal tuo libro appena uscito, sembra quasi fossi arrivato ad un punto di arrivo: hai trovato la tua pelle migliore e hai scritto un libro biografico, come se non ci fosse più nulla da raccontare. La tua musica cambierà pelle un’altra volta oppure hai trovato la tua dimensione?

Domanda difficile… non lo so. Ora mi tengo la pelle che c’ho, sicuramente fino all’estate, la abbronzo e vedremo quando sarà il momento di cambiare pelle come la cambierò. Ma una volta arrivato qua facendo una mutazione di pelle abbastanza grossa a livello umano e a livello artistico vorrei esplorare un po’ di più, non correre per forza a cambiare nuovamente formula. Però, che io mi ripeta, credo proprio di no.

 

Com’è visto Ghemon tra 10 anni agli occhi di Gianluca? Pensa che ci sarà ancora uno spazio musicale per lui?

Sì, sicuramente! Credo e immagino che ci saranno tante altre cose, mischiando ciò che mi piace, ma è indubbio che farò ancora musica.

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