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“Girls invented punk rock, not England”: parola di Kim Gordon

By marzo 8, 2020 No Comments

Kim Gordon non è “una” ragazza nella band. È “la” ragazza nella band per antonomasia, il che è molto singolare, considerato che non ha mai amato le etichette, ma ne incarna una alla perfezione. Dopo aver fatto musica per quasi 40 anni (30 dei quali con i Sonic Youth), ha pubblicato, nel 2019, il suo primo disco solista, “No Home Record”, un album liberatorio ed appassionato, che non si discosta da quello che ha sempre amato fare. La differenza è che lo ha fatto “da sola”.

Per farsi un’idea più concreta della sua visione del mondo, basta leggere “Girl in a band”, l’autobiografia uscita nel 2016. Tra aneddoti personali, racconti di vita pubblica, critiche e apprezzamenti, ne vengono fuori il lato più umano e quello più irraggiungibile allo stesso tempo. Il matrimonio finito con Thurston Moore (con il quale ha condiviso i Sonic Youth), l’amore per l’arte, gli incroci con persone e personaggi, la musica. Le istanze femministe.

In un’epoca come la nostra, un 2020 in cui gli slogan per la parità di genere campeggiano in bella mostra sulle magliette in vendita nei post sponsorizzati di Facebook, i racconti di Kim riportano un po’ di più con i piedi per terra.

Non sono un Vangelo, sia chiaro, e lei non è un Messia: questa è una premessa fondamentale.

Il punk e, più genericamente, il rock, hanno una storia ricca di protagonisti maschili. Le donne ci sono state, ma in numero inferiore e – almeno in determinati periodi – il loro ruolo è stato inteso quasi esclusivamente nel senso di groupie. Per questo, probabilmente, vivendo la questione dall’interno, e con un ruolo come quello di Kim, due o tre domande possono sorgere. «Per una ragazza – racconta – essere cool ha molto a che vedere con l’androginia, e alla fine suonavo con dei maschi, e suonavo anche con altre band di maschi. La scena hardcore era fortemente maschile, e nella scena post-punk hardcore americana non vedevi molte ragazze sul palco. Kira Roessler, la bassista dei Black Flag, era una delle poche».

Lo stesso modo in cui i Sonic Youth hanno iniziato a presentarsi sul palco, da un certo punto in poi, è passato inevitabilmente da determinate dinamiche: «I Sonic Youth – spiega – sono sempre stati una democrazia, ma ognuno di noi aveva comunque il proprio posto. Io mi mettevo al centro del palco. All’inizio non era così e non mi ricordo esattamente quand’è che è cambiato. Era una coreografia che risaliva a vent’anni prima, a quando i Sonic Youth avevano firmato con la Geffen Records. Lì avevano capito che per le etichette discografiche di lusso la musica è importante, ma molto dipende dall’aspetto della ragazza. La ragazza tiene il palco, cattura gli sguardi degli uomini e, se è abbastanza sfacciata, ricambia fissando il pubblico. E poi la nostra musica poteva risultare strana e dissonante, e con me al centro del palco magari il gruppo era più accettabile. “Guarda c’è una ragazza, ha un vestitino, ed è con quei tizi, quindi tutto ok”».

I’m just here for dictation,
I don’t want to be a sensation
(Swimsuit Issue)

Nel corso degli anni, Kim Gordon si è fatta spesso portavoce di tematiche femministe (pur intendendo il femminismo in un modo non esattamente canonico). Lo ha fatto, ad esempio, creando un legame con il movimento delle Riot Grrrl, rispetto al quale, comunque, ha sempre avuto una posizione artistica sicuramente più mainstream. «L’espressione girl power – racconta – è stata coniata dal movimento Riot Grrrl guidato dagli anni Novanta da Kathleen (Kathleen Hanna delle Bikini Kill, ndr). Girl power: un’espressione di cui poi si sono appropriate le Spice Girls, un gruppo messo insieme da uomini, ogni Spice Girl etichettata con una diversa personalità, tirata a lucido e stilizzata per poter essere commercializzata come un modello di donna ben definito e completamente falso».

Critiche di questo tipo sono una parte integrante della sua narrazione: «Oggi abbiamo gente come Lana Del Rey, che nemmeno sa cosa sia il femminismo ed è convinta significhi che le donne possono fare quello che vogliono, il che, nel suo mondo coincide con l’autodistruzione, che sia andare a letto con uomini più grandi o volgari o essere un’effimera reginetta dei motociclisti. La parità di compensi e diritti sarebbe una gran cosa. Ovviamente è solo un personaggio. È così convinta che sia bello vedersi spegnere in una fiammata di droghe e depressione, o fa parte del suo personaggio?».

Al di là delle riflessioni sugli altri, c’è il modo in cui Kim Gordon parla di sé: un modo sfaccettato e stratificato, su più livelli. Non c’è solo la Kim che sta sul palco, posa sulle copertine, crea arte e perfino una linea di abbigliamento (“X-Girl”, un brand che ha ormai ceduto ad altri, da molto tempo). C’è quella della vita privata, del matrimonio con Thurston Moore, del rapporto con la loro figlia, Coco. È qui che emerge il suo lato più accessibile, quello più normale. Lo scorgi quando parla di un legame finito, mantenendo tutta la rabbia che solo un cuore ferito da un tradimento conosce. Parlando dell’ex marito, oscilla tra ricordi bellissimi e bruttissimi: dall’intesa perfetta al suo disfacimento, dalla consapevolezza della presenza di un’altra donna alla fine di tutto, una favola che non ha trovato il suo “vissero felici e contenti”.

Anche lei ha le sue paure e le sue insicurezze, celando dietro il suo aspetto così fiero un’originaria timidezza, che non potresti mai conoscere se non te la raccontasse in prima persona: «Quando ho cominciato a suonare sul palco, ero abbastanza impacciata. Cercavo solo di fare la mia parte al basso, sperando che le corde non si spezzassero e che il pubblico si godesse l’esperienza». Guai, inoltre, a chiamarla musicista: «Ho passato trent’anni a suonare in una band e sembra stupido dire: “Non sono una musicista”. Ma per gran parte della vita non mi sono considerata tale né ho mai studiato per diventarlo».

But you’ll never know
What I feel inside
That I’m really bad
(Little trouble girl)

Non spetta a me stabilire se ci sia o meno una lezione in quello che Kim Gordon ha da dire.  C’è, però, nei suoi ragionamenti, nei suoi lavori e nelle azioni che ha portato avanti, qualcosa che va letto, se non altro per semplice curiosità nei confronti della conoscenza: «La nostra cultura non permette alle donne di essere libere come vorrebbero, perché fa paura – ha detto -. Quelle che che ci provano vengono evitate o considerate pazze. Le cantanti che si spingono troppo oltre e con troppa violenza di solito non durano a lungo. Sono sbornie, saette, comete: Janis Joplin, Billie Holiday. Ma essere la donna che sposta più in là il confine significa anche mostrare gli aspetti meno desiderabili di te stessa. Alla fine, alle donne viene chiesto di tenere in piedi il mondo, non di annientarlo».

Che le piaccia o meno, Kim Gordon sarà sempre “la” ragazza nella band, ma nel modo migliore possibile.

(Se vi state chiedendo il perché del titolo, la risposta è qui)

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