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Universo Riflesso (e senza confini): intervista a Buzzy Lao

By marzo 10, 2020 No Comments

La musica ha una straordinaria capacità di descrivere molteplici realtà, soprattutto quando riesce a creare una perfetta alchimia tra suono e parole. Così, ascoltando “Ombra” di Buzzy Lao, è impossibile non soffermarsi su quei versi che recitano “Guardiamo tutti lo stesso sole/ Salviamo tutti la stessa anima”, che si adattano bene alla nostra modernità, al nostro presente.

Ombra” è la seconda traccia di “Universo/Riflesso“, uscito all’inizio del 2020 per INRI/Bunya Records: un viaggio di otto canzoni che esplora, da un capo all’altro, un mondo fatto di tante influenze musicali. Il tour di presentazione del disco era in programma a partire da metà marzo ma, come ogni tipo di spettacolo in Italia, si è dovuto fermare. Proprio questa realtà, la più contemporanea, è stata l’inizio di una conversazione con Buzzy Lao, tra ispirazione e creazione, origini e luoghi da chiamare “casa”, passato e futuro.

Cosa sta accadendo in questi giorni?

«Quando esce un disco si organizza tutto dai tre a sei mesi prima. Avevo programmato le prove con la band a febbraio, quindi ci siamo liberati tutti quanti e io sono partito per Torino: avremmo iniziato a marzo, con i primi tre concerti di presentazione (Milano, Palermo e Torino, ndr), ma abbiamo dovuto annullare tutto. È una situazione che sta colpendo molti, non solo chi suona ma, prima di tutto, i locali e le agenzie di booking. Abbiamo perso voli e navi, ma il tempo impiegato a provare non è perso, perché è un lavoro che servirà quando recupereremo le date».

Che feedback hai avuto da chi ti segue?

«Ci sono persone che mi hanno detto che si erano organizzate per venire a Milano e mi hanno scritto in tanti da Palermo – una città in cui ormai sono quasi di casa -. Molto probabilmente si dovrà arrivare almeno alla fine aprile per poter recuperare, ma vedremo nei giorni a venire, quando la situazione si evolverà in modo più chiaro».

Come è nato “Universo/Riflesso”?

«Caso vuole che questo disco sia nato in un periodo per me molto simile a quello in cui mi trovo adesso, con la differenza che nel 2017 era un momento di stop che ho vissuto da solo. Allora ho dovuto prendere una pausa per un problema di salute, già risolto, che mi ha obbligato a interrompere i concerti per almeno sei mesi, proprio quando era appena uscito “Hula”. Mi sono ritrovato in quella fase di stop e ho iniziato a scrivere copiosamente. Poi ho ripreso i concerti e, lungo un periodo di due anni, ho sfruttato le esperienze tra Italia e qualche città europea: le otto canzoni del nuovo disco sono il risultato di questo periodo di scrittura. In seguito ho deciso di andare a Palermo, con l’idea di rimanere non più di due-tre mesi, ma lo stesso disco ha detto che aveva bisogno di più tempo per maturare bene. Così sono diventati sei-otto mesi e Palermo è una città che non voglio lasciare. Il disco è nato al Nord, dal quale ha preso molte sfumature riflessive, anche nelle sonorità e nell’utilizzo degli effetti. Rispetto al primo album, che è molto più roots, Universo/Riflesso ha una ricerca più meticolosa, anche perché è che è nato davanti al mio computer. Sono arrivato in studio con tutte le mie idee e lì, a Palermo, il disco ha preso l’anima più solare, più ritmica e quelle sonorità che vanno dal Mediterraneo all’Africa».

Come hai scelto l’immagine per la copertina?

«La copertina rappresenta tutto quel melting pot che il disco racchiude. Ci sono io, fermo, che guardo verso un altro continente, rivolto verso l’Africa. Con le foto, scattate alla Scala dei Turchi di Realmonte, volevamo creare un’illustrazione che fosse quanto più possibile realistica».

Il tuo disco porta con sé una matrice blues, pur esplorando sonorità diverse. Cosa è per te il blues?

«Il blues è una filosofia, un’attitudine, un modo di intendere la musica e la scrittura – che deve essere “vera” fino al midollo. Scarto sempre tante canzoni che, magari, sono valide come canzoni in sé, ma non sono legate visceralmente alla mia vita. Per me quello è “blues”: essere sinceri con se stessi, senza fronzoli. Mi sento un bluesman “interiore”, anche nel modo in cui affronto un live: focalizzo quello che suono e che canto, piuttosto che la scenografia. Dal vivo, anche con la band, sono sempre seduto,  concentrato sul suonare la chitarra e sull’interpretazione canora. Nella musica che scrivo si sentono tante sfumature: la matrice è molto “black” e, anche in canzoni che sembrano lontane da quel mondo, io mi rifaccio alla scala pentatonica del blues: c’è la scintilla del blues che mi piace mettere in molti altri generi».

Hai vissuto in città diverse: qual è quella che chiami “casa”?

«Da un certo punto di vista sono sempre stato un mix. Sono nato e cresciuto a Torino da genitori calabresi, che a loro volta sono originari di un paesino arbëreshë della Calabria. A livello identitario, pur considerando Torino la mia città, considero “mio” anche il paese d’origine dei miei e ci vado appena posso. Gli anni della vera gioventù, dai 20 ai 27, li ho vissuti a Londra, una città che mi ha influenzato, ma che non sentirò mai davvero “mia”. Adesso c’è anche Palermo, un po’ un porto franco per me. Non vengo considerato né torinese, né calabrese, è un po’ come se avessi una nazionalità a sé. Ho tanti posti del cuore e ho la fortuna di avere anche tanti amici in giro, quindi mi sento a casa in tanti posti. Ultimamente sto vivendo a Palermo, e posso considerarla un po’ casa, considerato che la chitarra alla quale tengo di più si trova proprio lì: un dettaglio molto indicativo del mio legame con la città».

Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?

«Sono in un periodo di ricerca sonora “chitarristica”. È una cosa che mi capita almeno una volta l’anno. Accade in maniera naturale, non lo programmo mai. Parto da un dettaglio, vedo quale chitarra ho e capisco se ci sono cose che posso cambiare, migliorare e via dicendo… Ovviamente è un mondo praticamente infinito. Sto impiegando questo periodo per un lavoro fine di ricerca sonora, fra timbri vari delle mie chitarre e dei miei effetti. Poi conto di riprendere la scrittura e magari qualche altro progetto: ho un progetto parallelo elettronico, potrebbe essere il momento giusto per capire quale direzione fargli prendere. Ho tantissime cose su cui lavorare, di idee ne ho tante. Ho anche fondato una piccola etichetta discografica, Bunya Records, quindi mi dedicherò pure a lei».

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