Diego, lana e acqua.
Esiste un luogo ed un tempo in cui dormire in un letto di tulipani, dove una macchina morbida offre un teatro, madre di carezze, premure, tra mani calde, bianche, e specchi in cui s’intrufola un suono, che strisciando si lancia dritto, senza fine, e girando attorno finisce per avvolgerci. Questo specchio riflette due anime, due di una, una sola notte, un solo volto, un solo corpo, esistono raggi che al tramonto sono finestre sbarrate tra ciò che deve cominciare e ciò finisce, tra un cuore che sanguina e che batte. Non è l’amore che viene dalla bellezza, ma la bellezza che è creata dall’amore. Esistono interpretazioni, esistono fatti, resiste solo un amore. Esiste un corpo, fasciato di velluto nero, il viso una mela rossa, gli occhi stagni cerulei, le braccia tese come pane caldo. Esiste un sogno che salpa come una nave, che è incessante come pioggia che batte, esiste un volto che è trasparente, esistono fianchi stretti da lenzuola ed esiste una vita che è uno spasmo e che ogni notte muore tra le viole e si risveglia con il nastro rosa stretto tra le dita.
Diego è senza catene, un caos totale, un grappolo di desideri, un vento che spazza via le macerie, un testimone del bagno della luna nel fuoco, che scioglie il cielo nelle onde e, distillando parole, su uno schermo, lascia cadere il tempo dentro me. Non c’è stanchezza, non c’è torpore, malinconia, rancore, è una febbre che non passa e logora l’ignavia, Diego è un inverno disegnato a matita, una maglia di ferro, la linea severa di un collo alla Modì, le braccia incrociate di un’anziana, la forza, la fame, la sete, vestite di vene, carne e vino, il genere unico della storia.
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Diego nasce e cresce a Milano, una famiglia come tante, emigrati e lavoratori. Il benessere, un percorso scolastico ordinario, qualche libro, la TV, lo smartphone. Tutto chiaro, inquadrato. “Ho sempre avuto un atteggiamento considerato provocatorio, non provocante, quanto egocentrico, percepito come affamato di attenzioni, in realtà credo semplicemente di non aderire allo standard richiesto, di non riuscire a pronunciare determinate parole con naturalezza”. Quel che è non può dirsi, la storia delle nostre personalità si divide in milioni di sfumature uniche, molte si piegano alle aspettative proiettate socialmente dalla comunità di riferimento, del momento, la famiglia, le frequentazioni, le sigarette che fumiamo, i dischi che ascoltiamo, sono desideri indotti, raramente sono sintomi autentici di ciò che sentiamo. Diego è diverso, mi ricorda il mare di Colapesce, avvinto dalla propria forza, percepito come debordante, mentre si stringe alla semplice verità dei suoi confini. “Sono precoce, precoce in tutto, a quindici anni ho cominciato ad uscire da solo, qualche discoteca sperduta nell’hinterland milanese coi miei compagni di scuola, poi a sedici anni giravo per pub ai Navigli, e poi ancora ho cominciato col clubbing vero e proprio. All’inizio i Magazzini Generali, le serate commerciali, super pop, ambiente misto, ragazzini e gente molto adulta. C’era chi andava per rimorchiare, chi andava per conoscere gente, io andavo per ballare. La discoteca era qualcosa di sconosciuto e nuovo, del tutto diverso, questa grande novità tuttavia mi stancava subito, così cambiavo continuamente serata, locale”.
Porcile, Pasolini:
Herdhitze: La mia vecchia esperienza costruttiva mi dice che le contraddizioni sono assolutamente necessarie.
Klotz: Infatti. Infatti, infatti. C’è un momento in cui la mia abiezione di maiale, col ventre capace di contenere un’intera classe sociale, attraverso il rimpianto del passato si purifica, ed è lì che io ho torto. Invece, invece, c’è un momento in cui la sua abiezione di maiale attraverso l’idea del futuro si fa ancora più cinica, ed è lì che lei ha ragione.
Le nostre discoteche possono sembrare dei gran porcili, dove rotolarsi nel fango e dove gettarci a corpo morto come fossimo dei pesi, eppure il porcile è l’ambiente dove ingrassano i porci, dove si allarga ed irrobustisce la carne, dove ci si dondola, pasciuti come principi, tutti uguali, le nostre discoteche sono dei personaggi in cerca d’autore, la loro forza sta nell’essere pagina bianca che si presta indefinitamente ai desideri di tutti.
“Dopo i Magazzini, per un periodo sono andato molto al Qlab e poi a La Boum. Alla fine di tutto, è arrivato il club cui sono più legato, il Plastic. Il sabato al Plastic con Club Domani è il luogo in cui mi sento più a casa a Milano, amo la musica del locale, mi piace l’ambiente, adoro l’allure della situazione. Prima di andare c’è tutta una preparazione, mi riunisco con degli amici per un pre-serata e fumiamo una sigaretta, beviamo qualcosa, si chiacchiera, mentre ci vestiamo, trucchiamo, agghindiamo, a seconda di come ci va. In ogni caso, il pre-serata è vitale, serve a capire a cosa si vuole andare incontro, tra uno stivale ed una linea di eye-liner. Al Plastic vado con vestiti aderenti e tacchi vertiginosi, non è una questione di ostentare, ma di mostrare se stessi per come si sente di volerlo fare, e per questo genere di cose il Plastic è perfetto”. Il ricorrere del Plastic e di Club Domani nel racconto delle persone che vivono la notte milanese è qualcosa di straordinario, viene descritta un’aristocrazia democratica del clubbing che permette di osare e di sentirsi allo stesso modo in un ambiente ricettivo e stimolante. La musica e la notte raccontano un misto di sensazioni che inducono ad abbandonare quella nitida lucidità del quotidiano per ritrovare una libertà che sa di danza ancestrale, di emozioni nuove e diverse, generate dalla differente ripetizione di suoni, luci, protetti da quattro mura e dalla mano benevola del buio, quelli che sembrano luoghi di perdizione, disturbanti, sono templi dello spirito. Il futuro è nostalgia, il presente la notte.
“Quando mi rivedo, nelle foto di un amico, nei video, negli scatti di una serata, mi sembra di vedere il me che cerca di esprimersi, di emergere da ciò che sono qui ed ora. Mi sembra di mostrare chi sono e cosa desidero, la mia identità è fluida ed è per questo che per me, forse più che per molte persone, un vestito ha un valore reale”. Il valore fondante del clubbing è il suo essere il luogo delle possibilità dell’essere, che si smarca dall’esistere, abbandonando la nostra voce quotidiana, c’è altro da noi, che può mostrarsi solo in un contesto incontrollabile, fatto di corpi, di cosce, di caos, di occhi enormi, di dita veloci, di suoni che ci invadono. “Sentire certi mix house, specialmente quelli che propone Andrea Ratti, dove trovi della musica particolare, diversa, che offre qualcosa che vorresti sentire, avere nella tua playlist, che ti spinge a conoscere nuova musica, pur riportandoti a qualcosa che alla fine è familiare, tutto questo ti permette di apprezzare davvero un set. Poi, io ascolto tanta musica diversa, dalla musica classica alla techno, tra le feste più belle che ho fatto ci sono dei rave tra Berlino e Lipsia, dove ho lasciato andare tante delle cose che prima mi frenavano. Alcuni amici tedeschi mi hanno fatto conoscere un collettivo chiamato United Ravers Againsts Fascism, si tratta di un gruppo di artisti che propone musica techno per unire le persone contro tutte le forme di razzismo e fascismo, due fenomeni ancora molto presenti purtroppo al giorno d’oggi in Europa. Quello che questo collettivo cerca di fare è di lottare non con la violenza, ma con la forza che la techno riesce a trasmettere. A me, per esempio, è capitato alcune sere di percepire, ascoltando questa musica, un senso di unione con la gente che mi circondava mai avvertito prima, tra l’altro, proprio a Berlino, ho partecipato a delle feste fantastiche in case messe a disposizione da gente appena conosciuta, un fatto che mi ha fatto riflettere su quanto le feste riescano a donare, forse restituire, alla gente, non solo attraverso la musica, ma con fatti concreti, un senso di appartenenza e comunità. In Germania, poi, ho ritrovato Luke, una persona davvero importante per me che ho conosciuto in Spagna, una persona speciale, di quelle che incontri una volta sola in tutta la tua vita: tutta d’un pezzo e con molte esperienze da trasmetterti. Oltre ad essere molto sveglia, combatte per i diritti delle persone queer, trans e nere, è un’attivista che recentemente ha creato un movimento/evento a Lipsia chiamato Series Be, col quale ha fatto sentire la voce delle persone discriminate in molte manifestazioni”. Il clubbing è una scuola di nudo, dove imparare a mostrarsi con nervo e fierezza, che mostra come andare oltre le righe sia fondamentale, permettendoci di fare del nostro corpo non una prigione, ma una piattaforma di lancio, dove avvicendare stati di lucidità ad una follia sana, fatta di superamenti della nostra sciocca condizione attuale. “Mi rivedo consumato dalla città, dalle persone, in discoteca puoi capire le sensazioni che stai provando, la notte permette di essere un di più, qualcosa di non razionale, non vigile alle norme, essere più sbarazzino, sregolato”. Bisogna saper perdere il controllo e lasciarsi andare, ricercare ciò che è reale oltre il reale, il tempo della notte è quel tempo che si offre come l’altare cui innalzare le nostre emozioni per sacrificarle al quotidiano e vedere ciò che siamo oltre l’oggi, oltre la norma ed il controllo.
Nota OFF:
“Vivo l’ambivalenza tra notte e giorno quasi come Murakami racconta nei suoi libri il sogno e la realtà, con un senso di perdita della trama, che fa in modo che io mi ritrovi a vivere dentro ad una realtà che riesce ad andare oltre ciò che appare comune. La notte le persone si trasformano in tutto ciò che non riescono ad essere nella vita quotidiana, riescono ad esternare tutti gli istinti, le pulsioni, anche i capricci, che solitamente tengono nascosti per non sentirsi diversi, una sensazione che per me è pane quotidiano. Trovo stupendo come quella parte che vuole liberarsi dalle catene di quella società, di notte riesca a danzare e a sentirsi libera. Milano di notte è un’altra storia, riesci a cogliere pienamente cosa quegli edifici e quelle luci possono trasmetterti e sicuramente essere accompagnati da buona musica può rendere una passeggiata alle quattro del mattino un’esperienza dalle mille sensazioni. Una sera io e la mia più cara amica, Alice, abbiamo deciso di percorrere la strada dal Duomo a casa sua a piedi, con solo un paio di cuffiette che condividevamo, quella stessa sera avevo strappato la parrucca ad una drag in un locale, da dove mi hanno giustamente cacciato fuori (che teppista! ndr.), al rientro, quando tutto taceva, si sentiva solo il rumore della città, dovrebbe essere una citazione di Carrie Bradshaw da Sex & The City, ma non riesco a trovarla su internet, questo credo dica tutto”.
Il cielo si discioglie nelle onde
in attesa che nasca la luna
una farfalla sopra uno scoglio senza fretta
lascia cadere il tempo
in quel momento
spogliandosi dalle vesti d’acqua
appare lo specchio bianco
ogni cosa vi si riflette
gocce di luce cadono
su ogni singola foglia
sulle palpebre degli uccelli
sul dorso dei granchi
partirò, penso io
mi porterà
la luce della luna
trasporto la luna
al suo interno
ho racchiuso promesse e segreti
trasporto la luna
al suo interno
è raccolto tutto ciò che avverrà
le punte dei piedi rivolte in avanti
a illuminare il cammino
mentre ne sono illuminate
Mimi Hachicai, Trasportare la luna, 2015
Diego è una persona che condensa le emozioni in una parola, uno sguardo, il suo tocco è una forma d’amore surrogato, digitale, mellifluo, è una nicchia in cui ripararsi, è una bocca cui votarsi, è quell’indefinibile volontà di volersi bene, a volte l’attesa trasporta le emozioni e a volte, quando siamo troppo concentrati su noi stessi, vivere non è più vivere, Diego sorge come quell’inesprimibile forma di luce, di colore, che riflette il reale come fosse l’emotività tracimante del momento in cui salutiamo qualcuno per l’ultima volta. Di una folla di sentimenti può conservarsi eternamente solo la disperazione di un amore sotto la pioggia. La notte sarà ancora nostra.