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Perché guardare “Numero Zero” e dare una possibilità al vecchio rap italiano

By febbraio 4, 2020 No Comments

“L’hip hop è una cultura nata nel Bronx alla fine degli anni ‘70. Si fonda su quattro elementi: il B-boying, il writing, il djing e il rap. In Italia, negli anni ‘90, si è vissuta quella che da molti viene considerata la golden age dell’hip hop. Comunque la pensiate, questa è la storia del rap italiano e dei suoi pionieri” (Ensi).

Numero Zero. Alle origini del rap italiano” è un documentario del 2015, scritto e diretto da Enrico Bisi, prodotto da Withstand Film con la collaborazione di Zenit Arti Audiovisive. Ensi, volto noto della scena hip hop degli anni Zero, è la voce narrante che si districa tra le interviste ai protagonisti di quegli anni.

La storia è molto affascinante anche per chi, come me, non mastica generalmente rap.

“Il rap è qualcosa che fai, l’hip hop è qualcosa che vivi”, si dice nel film. L’origine del Big Bang è il tour di Afrika Bambaataa, sono i film “White Style” e “Beat Street”. Negli anni ‘80 in Italia, mentre i media non sanno neanche che cosa significhi “hip hop”, la passione per il rap e l’appartenenza ad un movimento fatto di ribellione e creatività si muove sottotraccia, emulando lo stile e un’attitudine che arriva direttamente da oltreoceano.

Come su un treno in corsa il film passa in rassegna i protagonisti di questa storia che forse non conosciamo neanche: Kaos One, Militant’A, Ice One, DJ Gruff, NextOne, Speaker DeeMO, Neffa, Colle Der Fomento, Fritz Da Cat vi dicono qualcosa? Sapete che i Radical Stuff sono stati tra i primi a produrre rap in Italia, seppure in inglese?

“Numero Zero” racconta la fantastica voglia di produrre qualcosa di nuovo e ancora inesistente in Italia, la frenesia creativa che divampa per tutti gli anni ‘90, tra lotte clandestine e fazioni territoriali. Nel 1990, infatti, i centri sociali dettano legge e, a Roma, Milano, Torino e Bologna, rappare è una questione nettamente politica. Attraverso la musica vengono diffusi i proclami e le rivendicazioni più calde di quegli anni. Chi si dà al rap viene fuori dalla scena hardcore degli anni ‘80. Neffa, il più noto di tutti, proviene ad esempio dalla batteria dei Negazione.

Il primo rap in italiano nasce a Roma per Radio Onda Rossa, al Forte Prenestino. Risponde subito dopo Bologna, con L’Isola Posse All Stars e il loro “Stop Al Panico”, direttamente dall’Isola nel Kantiere, negli anni drammatici dei fatti della “Uno bianca”.

Di lì a poco finisce l’epoca delle Posse e il rap esce dagli spazi occupati per affinare lo stile: farà scuola “Sfida al Buio” di Speaker DeeMO e Dj Gruff:

“Credo che l’approccio che ho usato in Sfida sia assolutamente figlio dei testi che avevo ascoltato fino a quel momento, parlo ovviamente dell’hardcore italiano e in particolare, è scritto nelle note del disco, dei gruppi di Torino. Era una modalità di scrittura che nessuno aveva ancora affrontato in italiano fino a quel momento (…) Il lamento fatto col transformer che Gruff riesce a fare con quell’urlo di James Brown, già ti dà il livello che Gruff aveva in quel momento come musicista del piatto… non è uno scratch qualsiasi” (DeeMO).

Il treno dei “numeri zero” continua follemente il viaggio. Tutta questa gente condivide la passione per le arti di strada, il writing, la breakdance e le jam, tra gruppi di amici e zulu party.

“La Rapadopa” di Dj Gruff, gli Assalti Frontali con “Terra di Nessuno” sono le prime pietre miliari di un periodo ben preciso. Sono album che riescono ad inventare e lo fanno alla grande. Il biennio 1992-93 vede il rap italiano sperimentare musicalmente non tralasciando, tra le tematiche affrontate, i fatti di cronaca che stravolgono il paese. Il primo ad incidere per una major si chiama Frankie hi-nrg mc che proprio nel ‘93 esce con l’opera prima “Verba Manent”.

Sono altri tempi, quelli per cui fondare una fanzine ha la diretta funzione di rappresentare e raccontare un movimento partecipatissimo e vivo come non mai.

Per questo nasce “Aelle” nel ‘91, rivista di riferimento almeno fino alla crisi dei primi anni 2000.

Ops! Ho spoilerato il finale della storia.

Ma arriviamoci con calma.

Gli eroi di questa vicenda sono quelli che confezionano nel 1994 “SxM”. Neffa, Dj Gruff e Deda, in una parola i Sangue Misto. L’album è il caposaldo dell’hip hop italiano, conosciuto anche al di fuori del contesto di genere, ritenuto uno dei migliori episodi musicali degli anni ‘90 in Italia. L’apice è stilistico oltre che testuale, per via dell’utilizzo dello slang bolognese. Non ci credete? Ascoltatelo interamente e ditemi che ne pensate.

Da questo momento in poi il rap esce dall’underground. Si arriva ai primi successi di pubblico e i media passano Sottotono, Articolo 31, Neffa E I Messaggeri Della Dopa e Frankie hi-nrg mc. Si parla di vendite massicce e la qualità, seppur qualcuno strizzi più di un occhio al mainstream, non è ancora a rischio. Quanti di voi ricordano “Quelli Che Ben Pensano” in rotazione continua in radio e tv, tra una partita a Tetris e una a calcio balilla? Qualcuno di voi avrà rimosso, per profonda vergogna, l’aver comprato “Così Com’è”. Altri, forse, si emozionano ancora oggi davanti ad un passaggio in radio di “Aspettando Il Sole”.

Anche in questa storia si arriva in alto e poi si scende verso il basso. Il giocattolo del “rap italiano” sembra rompersi ad un certo punto. Verso la fine degli anni ‘90 l’hip hop appare chiuso in sé stesso, non corre più innovandosi, se non per alcuni momenti. Il movimento, l’appartenenza, la creatività sono diventati più una questione di tendenza in esaurimento:

“Il suono parla, le liriche lo stesso, il flow… ok, non so che cazzo dice, non importa, però il flow c’è. Noi siamo cresciuti ascoltando persone che non capivamo cosa dicessero, però c’era il flow, c’era la metrica, c’era il gusto, c’erano i colori, nell’abbigliamento, nel suono, nelle tematiche, nelle copertine, c’era movimento, c’era fermento. In quella scatola c’avevano messo sogni, creatività, spontaneità, il riflesso di qualcosa che, mi chiedo dove sia finito” (NextOne).

“Numero Zero” – citazione diretta de “Lo Straniero” dei Sangue Misto – condensa in un’ora e mezza più di una decade, difficilmente strutturabile e molto più banalmente dimenticata. Si raccontano scenari spesso in contrasto e in guerra tra loro che meriterebbero ulteriori approfondimenti. Un tema su tutti è quello dei centri sociali che hanno giocato un ruolo fondamentale nella prima parte di questa storia. Se non si è dell’ambito, ci si può perdere tra le maglie di questa storia. Si consiglia l’uso di un taccuino o di un vuoto file.txt e Youtube o Spotify pronti a supportare la vostra immediata voglia di esplorazione dell’ignoto rap.

In sostanza “Numero Zero” convince. Ha la grande forza di trasmettere una bella carica. È la testimonianza, forse un po’ nostalgica, di chi si è mosso in un terreno fertile e non ancora coltivato. È una storia dove sono i dischi a parlare, a diventare narrazione di un’epoca, insieme politica, sentimento, disagio e ribellione giovanile. È un’operazione che prova a chiarire e a fare il punto. È il recupero di un pezzo di storia che per troppo tempo abbiamo tenuto a distanza.

Ce ne fossero di “Numero Zero”.

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