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Pink moon: quando Nick Drake morì da romantico

By ottobre 3, 2018 No Comments

Non c’era bisogno del terzo millennio per scoprire il genio di Nick Drake. Questa premessa è necessaria, anche per evitare che si possa incorrere in un’equivoca analisi di un album che supera quasi il concetto di cantautorato per essere scaraventato in un punto lontano, altissimo, che dovremmo guardare con contemplazione.“La vera arte non sa che farsene dei proclami, si compie nel silenzio”: forse Marcel Proust riassume nel modo migliore il senso di un’opera che gode di un consenso ormai indissolubile, ma che, come molti capolavori, ha necessitato del favore del tempo per ricevere il giusto merito. Adesso, quando riscoprire il senso del passato diventa quasi una moda (soprattutto in musica), è più facile etichettare come genio un uomo che non aveva bisogno di dimostrare nulla già allora, essendo sufficiente assistere ad un’autentica rivelazione sprigionata da un talento che scorre nell’inchiostro con cui si creano note e parole, generandosi quasi una dimensione mistica della musica. Pink moon non porta nessun messaggio di verità assoluta, non vi si trovano parole immolate a bussola verso il tutto, ma rilascia linee emotive scolpite nel tempo che tracciano una realtà torbida e respingente, difficile da cogliere se non nelle sottili sfumature. Nick Drake, al secolo Nicholas Rodney Drake, nasce da genitori inglesi a Rangoon il 19 giugno 1948 e vi rimane fino a due anni, quando il padre, che lavorava presso la Bombay Burmah Trading Corporation, decide di ritornare in Inghilterra, stabilendosi con la famiglia nel piccolo villaggio di Tanworth-in-Arden, a sud di Birmingham. A 20 anni, Nicholas abbandona progressivamente il prestigioso Fitzwilliam College di Cambridge e si dedica quasi in via esclusiva alla musica. Chitarra acustica, voce corposa, soave ma imponente. Una sinergia assoluta. Queste doti, questo talento, tutto questo lo porterà a esibirsi a Londra, dove, durante un concerto alla Roundhouse, viene notato da Ashley Hutchings, bassista dei Fairport Convention, che, notando la promessa che riposa in quell’artista, lo mette in contatto con Joe Boyd, titolare dell’etichetta Witchseason, con cui Drake inciderà Five Leaves Left nel 1969, Bryter Layter  nel 1971 e Pink Moon nel 1972. L’ultima parentesi di Drake arriva come epilogo di tempi bui, un malcontento interiore provocato da una depressione che non si sganciava mai dal suo spirito.

Il suo successo sempre limitato, la critica dell’epoca che quasi non lo considerava, il non aver potuto davvero esprimere con i primi due album la sua interiorità, sempre sincera e mai costruita sul falso, così come il suo sincero senso di inadeguatezza sono tutti segni di una vita scivolata altrove. Dopo un viaggio in Spagna compiuto nel 1971 per ristabilire un proprio equilibrio interiore, a fronte delle deludenti vendite di Bryter Layter, ormai non c’è più pace o speranza nella mente di Drake: la depressione è parte integrante dei suoi giorni, divorandone la vita stessa. Una nube di distacco e profonda rassegnazione è la vera realtà, ma rimane una riflessione intensa, una mente sempre viva. Sono sufficienti due notti negli studi Sound Techniques di Londra. Nasce Pink Moon e verrà pubblicato il 25 febbraio 1972: un monumento sonoro di appena ventisette minuti, sufficienti per essere leggenda. Voce, chitarra, qualche breve incursione di pianoforte, la tecnica del finger picking che punge come pioggia fitta nell’enfasi di liriche irraggiungibili. Nonostante gli sforzi, prevarranno l’isolamento e la caduta. Una fine immeritata, in solitudine, annegato nei suoi versi. Drake morirà il 24 novembre 1974 a causa di un’overdose di Tryptizol, un anti-depressivo, che lo porterà via, lasciandolo nel suo letto. Il suo corpo verrà trovato dalla madre il giorno successivo; sul comodino, un saggio di Albert Camus, Il mito di Sisifo.

Drake non viveva solo delle sue canzoni, leggeva, studiava e manteneva un profilo riservato da intellettuale accorto, ma anche da autentico romantico. Sul pavimento della stanza, fu trovato il giradischi ancora acceso e sul piatto il suo personale album preferito: i concerti brandeburghesi di Bach. Un po’ retorico definirlo artista maledetto, quasi a incasellarlo in modo semplicistico in una determinata era con un cartellino identificativo. Drake si è distinto per le sue doti di autentico poeta dell’immaginario, traendo dal suo pensiero una reale manifestazione di esistenzialismo musicale. Ogni verso, nota o arpeggio sono i tasselli di un disagio da combattere, una caverna da illuminare senza gongolarsi sul fumo della gioia leggera.

Ecco come si presenta Pink moon. La title-track, che apre il sipario, è un affresco sofferto di un presagio, quella luna rosa che personifica l’annuncio di imminenti sciagure, ma che ad un ascolto innocente del brano non sembrerebbe trasmettere una simile fatalità. Tuttavia, prima ancora di riuscire a scandire il ritornello e i richiami del pianoforte in sottofondo, arriva la maestosa Place to be, un grido di disperazione verso l’umanità. Ecco l’essenza di Drake, materializzata nei versi, nei picchi letterari (And I was green, greener than the hill/Where flowers grew and the sun shone still/Now I’m darker than the deepest sea/Just hand me down, give me a place to be) in cui traspare il tempo della gioventù ricercato in un sussurro. Road, in linea con questo spirito di stravolgimento interiore, permette di spaziare, picchettando nelle corde della chitarra una visione personale e intima dell’orizzonte perduto. Which will trasmette questa assoluta mancanza di certezza terrena, una paura radicata nel profondo; paura della perdita che diventa domanda, interrogativo costante e reiterato. L’intermezzo di Horn è quasi un preludio, una preparazione sonora a Things behind the sun, che può considerarsi una rivelazione, perfetta sinergia di poesia in musica: un rito verso la contemplazione delle stelle, del sole e dell’umano. Gradualmente, Drake incanta con il suo stato di grazia, straziato dalla precarietà dell’essere umani e dal dover osservare un tempo fugace e un sole che si spegne irrimediabilmente. Know riprende quei brevi componimenti in cui la brevità è il cuore pulsante del sentimento; tutto quello che conta è cogliere una rudimentale profondità, ridotta all’osso.

La voce si fonde nelle corde, diviene parte della musica e vi si specchia allo stesso tempo. Parasite è un caos calmo che aspetta di esplodere, descrivendo un panorama distorto di follia collettiva e paradossi, forse quell’inadeguatezza cronica che porta il male oscuro nella sua veste reale. Free ride e Harvest breed, nel continuare questo percorso, portano l’album ad un livello ulteriore, rompendo lo schema di linearità sonora finora adombrato. Drake è in cerca di salvezza o di una fine che lo porti lontano al più presto. From the morning, che chiude l’opera, descrive ancora questo rapporto tra terra e sole, ponendo l’uomo nello spazio intermedio, a svolgere il suo ruolo, vivere il tempo senza consolazione o aspettativa, contemplando l’alba ma piangendone già la mancanza. Tutto questo tripudio di simboli e drammi, ma anche di perdita e grazia, disegna perfettamente il senso della realtà, ma senza un messaggio definitivo, come fossero pensieri scritti su un pezzo di carta. Drake abbandona tutto e immagina un mondo che si allontani dal dolore. Pink moon è un manifesto romantico non ancora percepito nella sua estrema modernità, che sbatte in faccia il male vissuto dall’uomo, ma rivelandogli una bellezza circostante che lo accomuna alla natura.

Drake è forse l’ultimo dei musicisti-poeti romantici contemporanei, troppo al di là per essere compreso da tutti, lasciando un album che non è solo un testamento artistico, ma è un veri cimelio, una storia che rende immortali. Nick Drake rientra in quel coacervo di artisti che sono letteralmente musica, non possono essere classificati postumi, assumono un’identità assoluta e divengono patrimonio dell’umanità, come lo sono diventati in seguito Jeff Buckley e Elliott Smith. Sembra quasi di intravedere, per rimanere in tema di tradizioni cinesi, quell’espressione “Che tu possa vivere in tempi interessanti”, che, al contrario di quello che si può immaginare, è una condanna al dolore, i tempi bui da interpretarsi come tempi angusti, di guerra e dolore, che rispecchiano la poetica di Drake. La poetica di Drake è un dipinto che mostra un’oscurità emotiva, un contemporaneo surreale, come la copertina, creata maestosamente da Micheal Trevithick, in quel periodo compagno della sorella di Drake, che manifesta pienamente quel mondo ultraterreno di forme che scandivano le emozioni. L’universo di Drake, svilente, trova consolazione in intervalli di nitida leggerezza in cui si intercetta una folgorante simbiosi fra uomo e natura. Ecco che si risolleva una speranza mite e impercettibile. Pink moon è parte della Storia e, come ogni opera d’arte, non conosce tempo o epoca, anche se sembra ancora un disco uscito qualche giorno fa.

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