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Venti Splendide Cinquantenni

By giugno 25, 2020 No Comments

Secondo il giornalista David Hepworth, autore del saggio “ 1971.L’anno d’oro del Rock” , pubblicato in Italia dalla casa editrice Sur, sarebbe appunto il 1971 l’anno più significativo nella storia della musica rock o pop, che dir si voglia. A questo punto il 1970 rischia di essere sottovalutato o peggio ancora, degradato a damigella povera, non considerando, invece, quanto sia stato importante.

In realtà, il 1970 è emblematico, non solo perché chiude un decennio schizofrenico come sono stati gli anni sessanta, ma anche perché presenta alcuni temi che si riproporranno nel futuro, o addirittura porta a saturazione alcune tendenze che saranno spazzate senza pietà – penso alla musica progressive – dalla rivoluzione del 1977, quando il Punk sovvertirà un ordine che si pensava cristallizzato e immutabile.

È l’anno dello scioglimento certificato dei Beatles, delle morti di Jimi Hendrix e Janis Joplin, il primo anno post Woodstock o post Altamont, se questi concerti possono essere considerati degli spartiacque nella storia della musica rock. .

In ogni caso le uscite di quell’anno non possono essere assolutamente considerate minori. Troviamo conferme e passi falsi – si pensi ai Black Sabbath – capaci di pubblicare in soli cinque mesi quelli che poi saranno i manifesti propositivi dell’Heavy Metal, o ai Led Zeppelin che nel terzo disco si permettono di tirare il fiato, dopo avere vissuto in modo frenetico l’anno precedente – canti del cigno e vagiti di nuovi nati.

I Beatles ci lasciano con “Let it be”, anche se realizzato l’anno prima, Bob Dylan continua nella sua fase grigia e pubblica il controverso Self Portrait, mentre i Rolling Stones, dopo aver assorbito e metabolizzato piuttosto facilmente la scomparsa di Brian Jones che ormai era un ex componente a tutti gli effetti si preparano, dopo un’estenuante tournée americana, a celebrarsi con “Sticky Fingers”.

La playlist di venti canzoni che segue, è stata redatta cercando di privilegiare non solo i nomi più famosi ma anche quelli di artisti e canzoni poco note che sono riuscite a invecchiare con classe.

Spero che il risultato sia di vostro gradimento.

Rock On.

Bill Fay – Garden Song

Bill Fay è un cantautore inglese che nel 1970 fa uscire il suo primo album, omonimo, seguito l’anno dopo dal meraviglioso Time Of The Last Persecution. Nessuno dei due dischi però ebbe un gran successo e il nostro decise di ritirarsi, salvo un’occasionale comparsata all’inizio degli anni ottanta. È tornato nel 2012, continuando a produrre splendidi gioielli intimisti. L’ultimo, Countless Branches, si candida a essere uno dei migliori dischi del 2020.

Black Sabbath – Planet Caravan

A pochi mesi di distanza dall’esordio, ecco i Black Sabbath con Paranoid, quello che molti dicono essere il loro migliore episodio Planet Caravan è una fosca ballad, dove il buon Ozzy si mette a raccontare e non strilla, mentre Tony Iommi dimostra ancora una volta quale geniale chitarrista sia stato.

Can – She brings the rain

I tedeschi che ci piacciono. Mai si parlerà abbastanza bene di una band così geniale e proiettata nel futuro come i Can. La canzone scelta è tratta da Soundtracks, un album nel quale vengono raccolti alcuni brani utilizzati come colonna sonora. La canzone – originariamente nel film Bottom di Thomas Schamoni – dal groove jazzy e l’andamento misterioso, sarebbe la sigla perfetta per la prossima stagione di Storie Maledette di Franca Leosini.

Caravan – As I feel I die

Dopo una prima prova con l’etichetta Verve , apprezzabile ma passata quasi inosservata, i Caravan firmano con la Decca e fanno uscire un disco dal titolo lunghissimo : If I Could Do It All Over Again, I’d Do It All Over You. Qua troviamo tutti gli elementi caratteristici del loro sound, che saranno esaltati dal successivo In The Land Of Grey And Pink, tastiere che insinuano melodie, una perizia strumentale notevole e tempi dispari.

La parte più prog del Canterbury Sound.

Creedence Clearwater Revival – Have You Ever Seen The Rain

Nel 1970 fanno uscire due dischi, Cosmo’s Factory e, ai tempi supplementari, il nove dicembre, Pendulum che è anche l’ultimo album con la formazione classica a quattro. Non c’è film che parli della guerra del Vietnam senza i Creedence Clearwater Revival nella colonna sonora. Non c’è film che parli del dramma dei reduci della guerra del Vietnam senza una canzone dei Creedence Clearwater Revival come sottofondo. Un motivo ci sarà.

Curtis Mayfield – Other side of Town

Ecco, io vorrei tanto dire che questo brano del grande Curtis Mayfield, è superato, datato, anacronistico. Vorrei dire che dagli anni settanta ad oggi le cose sono cambiate, che avere un colore di pelle diverso non conta, che razza, religione, sesso non sono oggetto di discriminazione, di odio, di violenza. Lo vorrei dire tanto, ma tanto.

Però non ci riesco. Il sole non splende sull’altra parte della città. I can’t breath.

Nick Drake – Northern Sky

Mi amerai ancora quando sarò morto? Vengono i brividi a sentire pronunciare questi versi da Nick Drake. Il suo culto è nato in silenzio, con discrezione, proprio come era il suo tormentato personaggio. Una canzone semplice, o almeno così sembra, impreziosita dagli arrangiamenti e dal suono della celesta (uno strumento a tastiera) suonata da John Cale.

Sì Nick, noi ti amiamo ancora. Te lo saresti mai aspettato?

Fleetwood Mac – The Green Manalishi (With The Two Pronged Crown)

Il ballo di addio di Peter Green ai Fleetwood Mac. Un brano composto in pieno trip mistico, che spara a zero sul cinismo dello Show Business e sull’avidità umana. Dal vivo diventava una jam di almeno venti minuti.

Mai come in questa canzone la sua chitarra era una spada e chi non ci credeva era un pirata (cit).

George Harrison – Beware Of Darkness

All Things Must Pass contiene il meglio dell’Harrison solista. Si recuperano cose scritte al tempo dei Beatles, ma ci sono anche nuovi brani composti per l’occasione. Insomma sembra proprio che Silent George, abbia tutte le potenzialità per dare filo da torcere ai suoi compagni più apprezzati. D’altra parte da chi ha scritto canzoni come Something, Here Comes the Sun o While My Guitar Gently Weeps, ti aspetti l’eccellenza. Peccato invece, che il seguito della sua carriera, non sia stato sempre all’altezza di questa opera monumentale.

Jethro Tull – Nothing To Say

Benefit, disco da dove è tratto questo brano, soffre la sindrome del figlio di mezzo, a metà strada tra Stand Up e Aqualung, episodi molto più conosciuti della band di Jan Anderson. Eppure come tutti figli di mezzo, riesce a stupire, con le sue doti nascoste.

Kevin Ayers – May I?

Mollare il lavoro e andare a vivere in un’isola del Mediterraneo, magari Ibiza. Quanti di noi non lo farebbero? Kevin Ayers l’ha fatto davvero, dopo essere andato via dai Soft Machine, perché non sopportava lo stress dei tour. Però ha continuato a distribuire, con il suo fare molle e indolente, canzoni come caramelle. Dolci ma dal sapore strano.

Shooting At The Moon e Joy Of A Toy ( che titolo stupendo), da riscoprire subito.

King Crimson – Cadence and Cascade

Dopo l’estate del 1970, i King Crimson si erano ridotti ai soli Robert Fripp e Peter Sinfield. Eppure, in una situazione di caos, il chitarrista – arruolando come musicisti di studio proprio gli ex compagni – con l’innesto del pianista jazz Keith Tippett, ci consegna In The Wake of Poseidon, che ha solo la pecca di venire dopo un capolavoro come il disco d’esordio. Cadence and Cascade è una bucolica ballata acustica che si fa apprezzare ancora oggi.

Led Zeppelin – Since I’ve Been Loving You

Il terzo album dei Led Zeppelin, con il suo riuscito connubio di brani acustici ed elettrici, non solo mostra la versatilità della band, ma è stato sempre il mio favorito. E Since I’ve Been Loving You, un blues cantato da Robert Plant con acuti degni di Janis Joplin, è il mio pezzo preferito del disco.

Vi basti questo.

Linda Perhacs – Parallelograms

Si racconta che ogni tanto gli angeli si degnino di scendere sulla terra, magari sotto le spoglie di un’igienista dentale con l’hobby del canto. Si dice che Parallelograms di Linda Perhacs sia stato il suo unico disco per almeno quarant’anni.

Si dice che le sue canzoni siano bellissime.

Ma questo lo dovete dire voi.

Merry Clayton ‎– Gimme Shelter

Era stata la voce che duettava con Mick Jagger nella versione dei Rolling Stones su Let it bleed. Ne sono state raccontate tante su quella seduta di incisione, forse anche cose non vere. Qui, in occasione del suo debutto da solista, la vampirizza, relegando la performance di Sir Mick in un angolo.

Straripante.

Pearls Before Swine – The Jeweler

Tom Rapp, il leader del gruppo morto pochi anni fa, era tornato a fare l’avvocato, perché – diceva – era uno dei pochi a non essersi arricchito con la musica. Tra la fine dei sessanta e l’inizio del decennio successivo, i Pearls Before Swine hanno pubblicato lavori interessanti come One Nation Underground o Balaklava, a metà strada tra la psichedelia e il folk. Questo pezzo, inserito nell’album del 1970 The Use Of Ashes, è stato anche rifatto dai This Mortal Coil.

Shelagh McDonald – Let No Man Steal Your Thyme

Dalla Scozia con Mistero. Incide due dischi tra il 1970 e il 1971 e poi sparisce. Le storie di bad trip sotto LSD non ci interessano. Poteva essere la nuova regina del Folk Rock inglese e darsele di santa ragione con Sandy Denny e Jacqui McShee. È riapparsa in pubblico nel 2013, facendo aumentare i rimpianti.

Meteora.

Traffic – John Barleycorn Must Die

Portare in classifica un pezzo della tradizione anglosassone, vecchio come il cucco, che parla del ciclo dell’orzo, è una di quelle imprese che sono riuscite solo a Steve Winwood. Oggi non sarebbe possibile.

Oggi c’è X-Factor…

Van Der Graaf Generator – Refugees

Una delle band più longeve, sono ancora in attività e avrebbero dovuto suonare in Italia il prossimo autunno Hanno sempre scelto strade scomode e poco trafficate. Ma nel 1970 erano famosissimi nel nostro Bel Paese, insieme ai Genesis , loro compagni di scuderia. Maestri di un prog intelligente lontano dai virtuosismi, Refugees ha avuto il pregio di fare digerire l’uso del mellotron anche ai più refrattari.

Van Morrison – Moondance

Archiviato quel capolavoro di fuoco, vento e pioggia che rimane Astral Weeks, lo scorbutico irlandese cambia decisamente registro. Moondance è un album positivo, a volte anche solare. O lunare. Come il brano omonimo, cantato col timbro da crooner consumato, che manco Frank Sinatra…

 

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