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Ypsigrock 2019

By settembre 14, 2019 No Comments

La pianificazione delle vacanze estive coincide, ormai da più di un decennio a questa parte, con la verifica del week end di Agosto dedicato all’Ypsigrock. C’è chi non riesce a rinunciare alla sua isola preferita, chi ha bisogno di un periodo di relax nel paesino d’origine, chi deve farsi almeno una settimana all’estero “per staccare”.

Chi vi scrive, insieme a qualche altro migliaio di persone, non può fare a meno di riservare tre giorni delle proprie sacrosante ferie a quello che ormai è considerato uno dei più importanti festival estivi europei. Giunto alla 23^ edizione, il palcoscenico di Castelbuono, splendida località dell’entroterra siciliano, è stato teatro di una rivoluzione culturale e musicale cresciuta di anno in anno che ha visto alternarsi artisti del calibro di Motorpsyco, Dinosaur Jr., Primal Scream e Mudhoney. Anche quest’anno la line up è di quelle che non si dimenticano. Ma andiamo con ordine. La prima giornata è caratterizzata dalla bella e potente performance di Dope Saint Jude, adrenalina pura per una perfetta alchimia tra hip hop old school e ritmi africani. Ma l’attenzione è interamente polarizzata sul nome posto alla fine della scaletta: The National. La band di Cincinnati da vita ad uno show di ben due ore dove a farla da padrone è il cuore ed il carisma di Matt Berninger, uno dei pochi veri “frontman” rimasti in circolazione. La sua è una performance di pancia, volta sempre a cercare il contatto con il pubblico e che raggiunge le vette più alte nelle interpretazioni di brani ormai diventati dei classici come “Green Gloves” e “Fake Empire”, e nelle più recenti “Carin at the liquor store” e “Light Years”.

Al forte impatto emozionale fa da contraltare una non perfetta resa sonora, dove le chitarre dei gemelli Dessner risultano essere troppo invadenti, sovrastando gli altri strumenti e penalizzando la sessione ritmica. Ci pensa il pubblico in più di un occasione a prendere in mano la situazione, come nella conclusiva “Vaderlyle Crybaby Geeks”, sigillo finale di una esibizione non impeccabile, ma che verrà ricordata a lungo nella storia di questo festival. Il primo brivido della giornata di sabato arriva dall’Ypsi and Love Stage e ce lo regala La Rappresentante di Lista. Il set del gruppo capitanato da Dario Mangiaracina e Veronica Lucchesi è perfetto e allo stesso tempo obliquo, trasversale nell’esplorare pop, rock e cantautorato. Colpisce la sintonia tra tutti i membri del gruppo e a giovarne è un live che avrebbe sicuramente meritato il palco principale. Ma le emozioni non si fermano.

 

Ci si sposta alla Ex Chiesa del Crocifisso per assistere ad un grandissimo Alberto Fortis in piena forma che, tra un omaggio a John Lennon e un Vincenzo “troppo stupido per vivere”, regge un one man show a temperature quasi equatoriali, arricchendolo di piccole perle, come la accennata citazione di “Forbidden Colours” di Ryuichi Sakamoto. Arriva la sera, e sul palco di Piazza Castello, dopo la festa di Baloji, a catturare l’attenzione sono i Giant Rooks: nulla di nuovo sotto il sole, ma tra una strizzatina d’occhio al pop anni ’80 e una tastiera alla disco anni ’90, il tutto risulta davvero molto gradevole. E’ il momento dell’headliner e da David August si attendono grandi cose. L’aspettativa è ricambiata solo in parte da un live set senza sbavature ma a tratti troppo freddo e distaccato che colpisce il cuore nel finale con il (riuscito) omaggio a Lucio Battisti ed alla sua “Amarsi un pò”. Arriviamo così alla giornata conclusiva che vede come protagonista assoluta una line up serale da brividi. A somministrare la prima dose di pelle d’oca ci pensano i Whispering Sons, creatura oscura a metà strada tra i Sisters of Mercy e i Bauhaus dalla intense sonorità dark e trainata dalla carismatica voce di Fenne Kuppens, quasi una novella Nico con un timbro che in alcuni ricorda anche l’ultimo Scott Walker. Neanche il tempo di commentarne l’esibizione che è subito il turno dei Fointaines D.C. Acclamati dalla stampa internazionale come la “Next Big Thing”, il quintetto di Dublino aggredisce il palcoscenico con il suo mix esplosivo di indie, noise e garage e per un attimo nelle movenze di Grian Chatten è impossibile non intravedere l’ombra di Ian Curtis.

Ne sentiremo parlare ancora. Arriva il momento del gran finale. Improvvisamente si ha come la sensazione che sul palco stia succedendo qualcosa di strano, di unico. Partono le prime note di “Come together”e gli Spiritualized ci portano sulla loro astronave fatta di gospel, noise e blues. Jason “Spaceman” Pierce sta rannicchiato nell’angolo alla destra del palco, lasciando che sia l’impatto sonoro il vero protagonista. Granitico, imponente nei suoi crescendo. Una esibizione che è già storia. Cala il sipario. Si spengono le luci. Negli occhi e nella mente, un’immenso cielo stellato.

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