HOMESound and Vision

Come “Alta Fedeltà” ha insegnato l’arte delle playlist

“Che cosa è nata prima: la musica o la sofferenza? Io ascoltavo pop music perché ero un infelice, o ero un infelice perché ascoltavo la pop music?”

Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore inglese Nick Hornby, “Alta Fedeltà” – diretto da Stephen Frears –, racconta la storia di Rob Gordon (John Cusack), proprietario del negozio di dischi Championship Vinyl il quale, con i suoi dipendenti nonché amici (presenti nel cast l’esplosivo Jack Black nei panni di Barry e il timido Dick, interpretato da Todd Louiso), è solito stilare delle classifiche, le famigerate Top Five che riescono a descrivere in maniera impeccabile le rotture più dolorose della sua vita, di cui il protagonista sembra essere un veterano.

Inizia proprio così Alta Fedeltà, con un dubbio amletico; un dubbio significativo però, che ha confinato il film ad un semplice prodotto per feticisti, per gli snob della musica: per quelli che ti guardano dall’alto, pronti a sminuire e fare a brandelli qualsiasi tuo gusto o credo musicale. Ma diciamoci la verità: quante volte ci siamo sentiti Rob Gordon? Quante volte, ascoltando un brano e chiudendo gli occhi, ci siamo sentiti in quel posto o in quell’esatto giorno?

Se ci riflettiamo, ogni momento della nostra vita è legato ad un brano e le playlist non sono altro che il nostro biglietto da visita, la nostra presentazione. E così Rob, mollato per l’ennesima volta dalla fidanzata Laura – con la quale conviveva da anni – decide di ripercorrere con la memoria e con l’ausilio della musica tutte le storie d’amore che lo hanno fatto più soffrire e portare alla situazione attuale.

E così laddove la musica ha il compito di amplificare le emozioni, nel film di Stephen Frears diventa l’unico linguaggio possibile attraverso il quale i personaggi riescono a scoprire o riscoprire sé stessi. Scopriamo passo passo, tra Only Love Can Break Your Heart di Neil Young e Most of the Time di Bob Dylan che Rob non è quello che sembra, il ragazzo tradito e soppiantato, ma che forse anche lui qualche colpa ce l’ha; scopriamo che ci sono sempre i due lati della medaglia, non solo nelle relazioni con gli altri, ma anche in noi stessi. Un lavoro introspettivo e terapeutico che solo con la musica riusciamo a portare a termine. Un cammino che il nostro Rob riesce ad intraprendere grazie all’apparizione onirica di Bruce Springsteen che, strimpellando la sua chitarra declama: “La vita continua, perciò manda tanti saluti e baci alla tua top five e rimettiti in cammino”.

E così alla fine del viaggio, scandito da ben settanta brani, Rob non ha più paura di fallire: sa che l’ultima playlist che sta preparando per la ragazza che ama sarà perfetta, così come perfette sono le numerose canzoni citate nel film.

Alta Fedeltà non è, quindi, un film indirizzato solo agli intenditori, ai feticisti della musica; è un film da vedere per diversi motivi: è romantico ma dolceamaro, guidato da emozioni reali e senza ornamenti superflui; è soprattutto un film personale e umano, palpabile grazie all’espediente del dialogare con lo spettatore senza peli sulla lingua, facendosi il “Virgilio” di un racconto nel quale musica e sentimenti si stringono la mano.

 

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