Nota ON
Via Valverde, una vena nel braccio bucato di Palermo, che si stende bianco e marmoreo, parallelo alla costa, bagnata da un mare indefinito, le sue ossa colonne fascistoidi, che nascondono il rosso pompeiano e ultraviolence dell’interno delle Poste Centrali di via Roma, un braccio poggiato su un tavolo chirurgico, illuminato da un raggio di sole molesto, stretto da un laccio emostatico, fatto di franchising e botteghe senza spirito, un braccio congestionato, la cui attività sanguigna si concentra in rivoli periferici nerastri.
When I put a spike into my vein and I’ll tell ‘ya things aren’t quite the same, when I’m rushing on my run and I feel just like Jesus’ son and I guess that I just don’t know.
Studiare una città significa adottare un approccio olistico rispetto alla ritrattistica dei suoi eroi, delle sue eroine, delle comparse, di questo nostro secolo breve ma oblungo. Bisogna leggere Storie Tossiche di Milingo Sutera e pagare il fio a chi si è bruciato davvero, azzannato dalla noia, dalla fame di vita, da quello che volete, aizzato contro se stesso dal declino della civiltà occidentale, consumato contro un albero a Villa Sperlinga o in una traversa di via Roma: Via Valverde, una bambina snella, spilungona e saputella, all’angolo memorie di una sex worker, dritto per dritto malas’enni o pianterreni ricoperti di icone dello zio Totò, che visse due volte, e poi i corridoi, le stanze del conservatorio, il fianco sterile di Santa Cita, la Cappella Sistina dei siciliani, con la sua selva di putti di stucco, raffigurazioni di peccati capitali e battaglie, Serpotta, un bianco che acceca, prima di essere scaldato e consumato al cucchiaio.
Su via Valverde c’è un portoncino sghembo e dimenticato, fatto di legno vecchio, sembra lo sguardo assente di un adolescente che si è ubriacato di birra e di un paio di superalcolici: le labbra gonfie che bramano un bacio, la vita stretta in un abbraccio alla vita, gli occhi ancora iniettati di ebbrezza, la bocca concava e protesa al mondo, un naso troppo gonfio oltre le narici ed i riccetti che escono da uno sciocco cappello di Zara, praticamente Ettore Garofolo in Mamma Roma, come se ascoltasse Salmo però, con le unghie mangiucchiate, che puzzano di canne.
Salite un numero imprecisabile di rampe di scale, in mezzo ad uno sfacelo si apre un cancello nero, pulito, riverniciato, poi una porta e siamo dentro Pinball Wizard, Paolo Castronovo è Elton John: sorridente, acuto, pronto e carezzevole, una gentilezza suadente, osservandolo sembra di leggere Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, sembra di vivere in grandangolo, lo guardi dal basso e vedi un gigante, non un imbonitore ma un buono. La faccia raccolta in uno sguardo, riflesso di notti bianche, le labbra che camminano più adagio delle parole ed una pineta di tatuaggi.
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Niente, tranne il rumore delle onde
“Sono nato a Bagheria e cresciuto a Mongerbino, un luogo tradizionalmente solo di villeggiatura, dove ho abitato estate ed inverno, non c’era niente tranne il rumore delle onde che s’infrangono sui muretti delle case. Sin dai 17 anni la mia vita sociale, per fame e per necessità, si è svolta a Palermo. Ero un adolescente del mio tempo: avevo sempre dei baggy jeans, piercing, cresta da moicano. Ho studiato lingue, il mio sogno era viaggiare e fare l’interprete. Pian, piano, grazie alle frequentazioni universitarie, mi sono inserito nell’ambiente dei ghost writer e dei correttori di bozze”.
Paolo ha rivisto uno dei casi più rilevanti, in termini di copie vendute, da cui è stata tratta anche una serie di film, del panorama letterario italiano degli ultimi trent’anni, non expedit farne il nome. “Avrei potuto inserirmi nel mondo dell’editoria e sgomitare fino a rifugiarmi in un posticino sicuro dopo decenni di precariato. Non mi andava. Non mi piaceva e non mi piace sottostare a regole di mercato baronali”.
Paolo Castronovo è un fotografo, anzi Paolo è il fotografo della notte, dei concerti, dei palchi, dei club, a Palermo. Uno dei primissimi in Sicilia ed uno dei primi in Italia. Paolo ha fotografato tutti i maggiori party palermitani, ha scattato in tutti i più grandi club della città: dai Candelai, al Gatto Nero, al Country; da The PopShock!, al Dress Hap, la Noche de Travesura, TNOS, ai party di Nunzio Borino; ha scattato sui palchi del Palermo Pride; ha fotografato musicisti come Manuel Agnelli per l’edizione palermitana di Manifesta, ma anche altri splendidi mondi, come la Dark Polo Gang, Ghali, Moderat, Sfera Ebbasta, Salmo e festival come Ypsigrock, Winter Case e l’Heineken Jammin’ Festival, ha scattato, per Unlocked, artisti del calibro di Martin Garrix, FatBoy Slim, Hardwell, Richie Hawtin, Carl Cox e tanti altri. Paolo Castronovo ha impostato un paradigma fotografico con cui tutti si sono misurati. Pro o contro, a Palermo bisogna fare i conti con le foto di Paolo.
“Ho cominciato a scattare per gioco, credo nel 2005. Una piccola compatta digitale al collo, manco una reflex, una macchinetta automatica così, tanto per documentare il tempo passato con gli amici. La cosa mi ha sempre di più coinvolto e ho cominciato ad interessarmi alla poetica del quotidiano: piccoli dettagli, colazioni, baci, volti, coppie che si lasciavano, feste e grandi sbronze. Erano gli anni di Flickr, di Dente, di uno stile espressionista e totalmente non commerciale. Poi un amico mi disse la solita frase, che tutti quelli che per diletto scattano si sono sentiti dire almeno una volta: c’è questo evento – credo fosse un aperitivo – vieni a fare quattro foto?’ E da lì non mi sono più fermato. Documentare eventi, feste, party, tutto quello che accadeva e accade nella scena clubbing palermitana, fotografare, è diventata una felice occupazione a tempo pieno”.
Paolo comincia a lavorare in lungo ed in largo, affiancando alla sua occupazione di fotografo per anni l’impegno da operatore socioculturale presso il laboratorio Z.E.N. Insieme con Save the Children, racconta, “mi sono occupato di corsi per bambini ed adolescenti, spesso inerenti alla fotografia, devo dire che è una cosa che adesso non posso più fare per questione di tempo e che mi manca tantissimo, un’esperienza bellissima. Lavorare con i bambini è qualcosa che ti fa imparare tanto”.
Negli anni Paolo ha affinato le sue conoscenze in fatto di fotografia, creando un immaginario che affonda in molti e diversi riferimenti, che si ritrovano osservando i suoi scatti: “Fotografando, per cercare stimoli ed ispirazioni, ho cominciato a fare ricerche. Mi hanno molto influenzato gli scatti di Josef Koudelka, di Gueorgui Pinkhassov, di RUDGR e di RUKES. E poi ho sempre tenuto a mente la letteratura, nel mio lavoro sento l’influenza delle mie letture, da Roberto Bolaño a Giorgio Manganelli”.
In Paolo si rivede un’attenzione alla luce che mi ricorda Ferdinando Scianna nei suoi scatti per Dolce & Gabbana; una smania documentaristica accostabile a Wolfgang Tillmans, per il cercare di stare non dietro l’obiettivo, quanto di essere parte invisibile dell’immagine, un po’ l’applicazione del principio di indeterminazione di Heisenberg in fotografia; per la costruzione ideale di un immaginario fantastico fatto di corpi, in Paolo si rivede Antoine D’Agata e la sua fame di vita.
“Il mio mestiere è cercarmi un background, uno scenario, scavarmi una nicchia, mettermi su uno scalino in punta di piedi, e scattare. È chiaro che da quando esistono i social, i soggetti fotografati ed il prodotto fotografia di un evento sono diventati oggetti di consumo tali che chi viene ripreso pone in essere un’interazione totalmente diversa rispetto a quello che accadeva solo dieci anni fa e con questo bisogna fare i conti”. Le foto dei party sono oggi foto che sviluppano non più una mera narrazione coi suoi derivati poetici, ma che assumono una funzione performativa nello stare in un certo modo in uno spazio. In altre parole, a volte la pubblicazione delle foto, e non la foto, è diventata il prodotto fotografia. Come se l’esistenza fosse un predicato logico dell’essere. Riportare l’attenzione alla narrazione significa, da un lato tenere conto di un’urgenza documentaristica, dall’altro avere anche dei contenuti fantastici da spendere, costruire un immaginario, fornire una poetica.
“Il mio approccio è morbido, cerco di far abituare le persone alla presenza del fotografo, lascio che la gente si istruisca da sola sulla mia presenza, che acquisti consapevolezza dell’obiettivo e si lasci andare, mi preme non interferire troppo con la serata”. Se spesso oggi la fotografia da evento richiesta viene standardizzata su quadri sterili, fatti di biechi sorrisi e di persone col cocktail in mano, di Paolo possiamo dire che riesca a ritagliarsi un proprio spazio espressivo praticamente ovunque, è un artigiano della macchina fotografica che sembra cavarsela alla grande in ogni contesto.
“Bisogna dare libertà espressiva a chi scatta, altrimenti si avrà un lavoro piatto e seriale. Il fotografo ha il compito di gestire l’ambiente, il locale. La sua arte è quella di relazionarsi al paesaggio umano, all’ambiente. Io, per esempio, amo molto i palchi, i concerti, i grandi set, mi piace riprendere l’epica dell’evento. Una delle mie foto preferite, che credo rappresenti anche la mia idea di palco, è stata fatta al Velodromo di Palermo durante l’Unlocked Music Festival del 2012 a Hardwell: pubblico, artista e luci, in un’unica esplosione, tutto insieme. Sono fortunato perché ho un rapporto coi miei committenti spesso d’amicizia e di stima reciproca tale che dentro la committenza riesco a plasmare il mio estro, non è purtroppo scontato”.
Uno dei lavori che ha instradato Paolo dentro la fotografia di eventi è stata la sua lunga residence a The PopShock! ai Candelai: “Venivo da un’altra festa, il Dress Hap, che devo dire ho molto amato, tuttavia in quel momento cercavo una nuova sfida, così quando Marco Agnello mi ha contattato per lavorare al PopShock ho accettato senza esitare. In quella festa tutto era possibile, la gente si faceva fare di tutto, era un periodo davvero bello. Quando arrivai chiesi a Marco come volesse impostato il lavoro e lui mi disse chiaro e tondo: ‘sei libero di fare quello che vuoi’, questo mi gratificò, ma mise anche un po’ di pressione. Ho lavorato quattro anni al PopShock e ho fatto quello che mi andava, esattamente come mi andava: è stato bellissimo.
Ai Candelai, poi, si trasforma in evento il club, i Candelai sono quel posto attorno a cui girano tante realtà, tutte interessanti. Il PopShock era una festa di amici, tra pubblico e staff non c’erano più distanze, solo una serena e divertita atmosfera, anche quando facevamo i grandi palchi. Il momento in cui scendeva la Villalobos (drag resident del party), per esempio, era quello in cui si manifestava un astro e tutti dovevamo, non potevamo fare altrimenti per la meraviglia che suscita la Villalobos, stare lì a guardare; quando invece scendeva La Mik (anch’essa drag resident di PopShock) arrivava un lampo di una grandezza fatta di carezze, ricordo Mik sussurrarmi all’orecchio ‘andiamo in mezzo alla gente’, ci prendevamo per mano e cominciavamo a camminare tra la folla, distribuendo leggerezza e follia, interagendo, un approccio fantastico al party.
Trovare persone così, lavorarci in team, tra una folla felice, in un caos positivo, è stata davvero una grande fortuna”. Paolo nel frattempo continua ad esplorare tutto l’ambiente del clubbing cittadino “Erano anni molto intensi, ricordo delle feste meravigliose, come quelle con David August e Jeff Mills, si lavorava la sera ai party e poi si andava a scattare agli after, per fare mattina al Johnny Walker (popolare bar cittadino) fino a ritrovarsi distrutti a dormire sotto il portone di casa”.
Dal 2012 Paolo intraprende una nuova sfida, cominciando a lavorare stabilmente per Unlocked, una delle realtà organizzative più importanti d’Italia: “Con Unlocked ho guadagnato tanto in termini di confidenza col palco. Uno stage che penso segni uno spartiacque è stato quello di Paul Kalkbrenner al Castello a Mare di Palermo nel 2017, diecimila persone in estasi. Un artista che ricordo sempre con piacere è Sven Väth, umile, piacevole, disponibile, divertente. Bob Sinclair è uno showman che ama giocare con la consolle, col palco e che ti ruba la camera mentre gli giri attorno. Carl Cox è la musica, la felicità, la sporcizia del garage clubbing UK che ha preso il sole e la spensieratezza di Ibiza. Sean Paul è qualcuno con cui abbiamo finito la serata a bere e chiacchierare. Di grandi e grandissimi abbiamo avuto la fortuna di averne veramente visti tanti”.
Più recentemente Paolo è diventato fotografo resident de La Noche de Travesura: “Penso che la Noche sia un progetto nel quale, Vincenzo Bonura, Fabrizio Giuliana e Roberto Tropea, sono riusciti a mettere insieme il meglio delle maestranze presenti nel campo della notte per creare uno spettacolo che è perfetto: dalla musica, alle luci, ai ballerini. Se il PopShock era una fucina di creativi che davano libero sfogo alla loro arte ed alla loro follia, la Noche è il punto più elevato dello spettacolo a Palermo, elevato perché somma di competenze singole inarrivabili”.
Paolo fa parte di un collettivo di fotografi, ICONA: “Io, Frankie Meli, Pietro Parrinello e Gabriele Modica, siamo tutti fotografi sul campo da anni. Ci ritrovavamo sempre a mangiare alle prime luci dell’alba, scambiandoci impressioni sulle serate passate a scattare, così abbiamo deciso di unire le forze, creando un collettivo, grazie al quale condividiamo tempo, esperienze, strumentazione, capacità, insomma ci aiutiamo, è un modo per offrire un servizio migliore e migliorare noi stessi”.
La poetica di Paolo è efficace perché non ha bisogno di superlativi per essere descritta, è un’arte fatta di concretezza e capacità di cogliere i momenti giusti “penso che un bravo fotografo che si occupi di eventi sia quello che preveda i movimenti di luci e del pubblico anche dalla musica, una capacità che affini negli anni, e per la quale una buona dose di intuizione non guasta, quello che riesce a fare, alla fine, esattamente la foto che vuole farti. La fotografia si colloca tra il suggerire ed il descrivere, il suo fascino e la sua bellezza sono le sue suggestioni. Il MOB, dove si svolgono tanti eventi di Unlocked, è un luogo le cui mura odorano delle esperienze di decenni di feste, di leggende raccontate in auto, di carne, di folla, di sudore, così le feste con più persone spesso sono le più intime, perché la folla rende possibile un certo anonimato. È tutto un fatto di suggestioni”.
Nota OFF
Osservando in questi giorni le fotografie di Paolo, tenendo a mente le sue parole, quello che mi pare evidente è che nel lavoro di Paolo Castronovo emerga l’umanità del tempo. Il tempo nelle fotografie di Paolo è descritto come una misura umana dello spazio, come quel luogo nel quale prendiamo la distanze dalla fisica, per spingerci nella metafisica di un movimento della folla, del microfono, dell’alzata di spalle di un DJ.
Osserviamo altri due fotografi – tutti di nome Paolo curiosamente – guardiamo l’estasi nei volti offerti e distesi ritratti da Paolo Pellegrin, la sua attenzione a sguardi che fanno discorsi sullo stato delle nazioni, gettiamoci nella composizione mimica delle fotografie di Paolo Di Paolo, dove si documenta carne e sogno: la mimesis dei corpi è più reale della realtà, perché la realtà stessa è una costruzione ed una forma di suggestione.
Scrive Erich Auerbach, parlando di Francesco d’Assisi: “L’essenza della sua natura e il vigore del suo comportamento si fondano sulla volontà di un’imitazione radicale e pratica di Cristo” – L’essenza della natura della fotografia di Paolo Castronovo ed il vigore del suo prodotto fotografico si fondano sulla volontà di un’imitazione radicale e pratica del reale, che costituisce una forma di realtà ricca di pathos, frutto di attese, autenticata dalla magia del caso, scevra da sciocchi riferimenti preconcetti, piena di forme che sono fantasie e corpi.
La fotografia è fondamentale perché la fotografia fa accadere le cose, così Paolo Castronovo è un demiurgo del nostro tempo, dei nostri club e dei nostri palchi.
Tutte le foto sono di Paolo Castronovo.